Sono giunta alla conclusione che, se leggere mi piace cento, scrivere, in proporzione, mi piace cinque. Scrivere quando mi dicono che cosa devo scrivere invece mi piace uno. Era tantissimo che non provavo a scrivere con un titolo dato da altri. Direi che l’ultima volta che ho scritto con un titolo dato da altri era il tema del concorso che ho vinto. Dicembre 2002, ne è passato di tempo. E pensare che quando me l’hanno chiesto ero fin contenta, adesso darei delle testate contro il muro, giusto per essere sicura di ricordarmi che, se mai ci sarà una prossima volta, non è roba per me. Riprendere in mano gli articoli, rileggersi, o leggerli per la prima volta, è molto bello. Mettersi lì e scrivere no. E ‘sta volta scrivere è ancora più difficile perché ‘sta volta non c’è una storia nuova da raccontare. Quando penso a una storia che vorrei provare a scrivere mi piace, quello sì, molto più dello scriverla. È bello star lì a pensare come raccontarla per provare a fare in modo che chi la inizi abbia voglia di andare avanti. Spesso la strada che scelgo non è quella percorsa in realtà, ci assomiglia, ma non è lei. E poi una volta scritta, la giro e la rigiro fino a che mi sembra che possa andare e poi la do al capo, e anche lui la gira e la rigira un po’. E adesso son dei giorni che giro e rigiro, cambio ordine, lascio delle frasi in italiacano sparse qua e là e altrove, perché non c’è verso che mi vengano in mente in inglese però devo pur lasciare un segno di che cosa vorrei mettere lì, proprio arrivata a quel punto lì, tolgo pezzi, aggiungo frasi ma non son tanto soddisfatta di come sta venendo. Anche quello scritto ieri non è che oggi mi convinca molto. E adesso, proprio adesso adesso, è il caso che la smetta di ca@@eggiare e riapra quel file sperando che il toast e il bicchiere di vino mi abbiamo portato dell’ispirazione. Però forse prima è meglio un caffè con sigaretta, è meglio prima ossigenare il neurone. Ah come sono brava nell’arte del rimandare, quella sì che mi viene bene.
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