giovedì 31 maggio 2012

parole per me nuove


Sto imparando un sacco di parole nuove. Se si lavora con qualcuno che viene da una parte dell’Italia differente dopo poco arrivano anche le parole nuove. Ieri la mia nuova socia d’avventura mi ha chiesto Mentre tu carichi il gel vuoi che metta le pecette? Io l’ho guardata e mi sa che si vedeva benissimo che non avevo proprio idea di che cosa volesse fare. Poi ha detto Alle provette di oggi, vuoi che faccia le pecette? Allora ho capito. E mentre caricavo lei ha scritto le etichette definitive.

Pecetta (da pece) 1) cerotto, toppa che si pone per riparare, 2) cosa o persona molesta o noiosa, 3) macchia di sudiciume, 4) etichetta, 5) piccola striscia nera sovraimpressa a una fotografia con funzione di nascondere.

martedì 29 maggio 2012

fa brutto

‘Sta mattina sull’autobus c’era una signora seduta davanti a me che parlava con un’amica. Eravamo in quei sedili che ci sono subito sopra le ruote dietro, son quattro posti e son messi che ci si guarda, a due a due. Anche a voler non ascoltare che cosa si dicevano non ci si riusciva. Mi son messa ad ascoltare. Raccontava della sua labirintite, del fatto che all’ospedale le avevano fissato l’esame dopo tre settimane ma che lei ne aveva bisogno in quel momento. Che aveva passato dei giorni che non riusciva a stare in piedi, continuava a cadere. Poi aveva trovato un posto dove le facevano quell’esame a pagamento, era un posto mezzo convenzionato e così aveva pagato solo trenta euro ma era riuscita a farlo il giorno dopo. Diceva alla sua amica Non potevo neppure andare a comprarmi il pane sotto casa. Avevo paura di cadere. Anche a mia mamma era successa una cosa simile, poi avevan capito che si erano spostati quei sassolini che abbiamo nelle orecchie, otoliti si chiamano, e lei si era molto arrabbiata della cosa. Mi spieghi perché non se ne stanno dove dovrebbero stare? chi gliel’ha detto di spostarsi? mi chiedeva al telefono. E anche a lei era successo che non se la sentiva di uscire perché aveva paura di cadere. Ecco io ‘sta mattina a sentire Non volevo cadere per strada, cadere per strada fa brutto, avrei voluto dire a quella signora quello che avrei voluto dire anche a mia mamma: cadere per strada è più pericoloso di cadere in casa ma non fa brutto. Fa brutto far qualcosa di male, star male non fa brutto, star male è brutto ma non fa brutto.

lunedì 28 maggio 2012

inversioni


L’altra sera stavamo guardando un film, io ero distesa sul divano e Cato era sdraiato parallelo a me. A un certo punto, abbastanza all’inizio, c’era un bambino che, per dimostrare che non aveva paura, doveva entrare di notte in un giardino e andare a trovare una vecchia. Si pensava fosse una strega. Era lì che attraversava il giardino quando si è sentito un verso miagoloso e allora io, che non me lo aspettavo, ho fatto un mezzo salto e Cato, che era già mezzo addormentato, ha tirato su la testa e si è messo a fissare il nemico (lo schermo). Dopo pochissimo, eravamo già nel mondo dei sogni. Ci siamo svegliati che mancava poco alla fine. Ah come guardiamo i film noi due non li sa guardare nessuno. Poi eravamo sveglissimi, Adesso si può andare a letto a leggere un po’, gli ho detto.

domenica 27 maggio 2012

mi starò annoiando?


Mi sveglio, prendo la brocca, è finito il vino. Mannaggia. Scendo e la riempio sbuffando. Torno di sopra, bevo un bicchiere, e proprio mentre comincio a pensare: non mi starò annoiando? suona il telefono.
È un mio amico che chiama dalla città.
Attacca subito a parlare.
Di pomeriggio, mi dice, sono stato a un interessantissimo convegno sulla crisi della ragione.
E tu non ragionare… mi vien da suggerirgli.
Poi, continua, sono stato ad un aperitivo. C’erano tutti, abbiamo parlato di tutto.
Tutti che parlano di tutto, una noia mortale sarà stato… ho pensato.
Poi era stato a una festa di un nostro amico. Sai, mi dice, è diventato professore ordinario. Certo, gli dico, se lo meritava. Del resto ha respirato quell’aria fin da bambino. Un luminare diventerà, un grande professore d'università come il suo bisnonno. Come suo nonno. Come suo padre. Come sua madre. Come la seconda moglie di suo padre. Come suo fratello e la moglie di suo fratello.
E tu? Che hai fatto? Mi chiede.
E io: ho letto un po’, poi son andato di sotto a prendere del formaggio, del vino… poi sono salito… ho letto ancora… ho trovato delle cartucce da fucile da caccia! Ho aggiunto con entusiasmo.
Ah! Ho capito, ha detto lui.
E domani? Mi chiede, torni? Andiamo insieme da qualche parte? Facciamo qualcosa?
Io ho detto no, non posso, sai ho tanto da fare, dobbiamo fare dei lavori qui…
Ah, ha detto lui, finalmente stai ristrutturando la casa!
Più che altro abbiamo problemi con le ragnatele. Ho trovato del formaggio mummificato sotto il letto. E un libro che cercavo da tempo. Un vagabondo suona in sordina, si chiama.
Ah! Capisco ha detto lui di nuovo.
Quando ho chiuso il telefono ho capito che non mi stavo affatto annoiando.
Ho ripreso le mie occupazioni.

Sufficit – Nino Vetri – pagg. 30-32

un chilo (e due)


Ci son dei giorni che si ha bisogno della pazienza, tanta. Di una scorta di pazienza enorme. Sarebbe bello se si potesse andare a comprarla.
-       Buongiorno.
-       Buongiorno a lei. Desidera?
-       Ha della pazienza fresca?
-       Sì, mi è arrivata proprio ieri. Quanta?
-       Un chilo, grazie. Me la taglia sottile così mi dura tutto il fine settimana?
-       Certo (poi pesa) È un chilo e due, che cosa faccio, lascio?
-       Lasci, lasci pure.

sabato 26 maggio 2012

sciolto


Camminavo per via san Vincenzo e davanti a me c’erano un papà e una bambina. A un certo punto la bambina ha chiesto al papà se le comprava un gelato. Il papà le ha detto di sì poi le ha chiesto Lo vuoi sciolto? e lei, serissima, ha risposto Sì, un cono sciolto.

venerdì 25 maggio 2012

una cosa e una cosa


una cosa sentita sull’autobus ‘sta mattina: Non sono una ruffiana, sei tu che sei una tontolana.

una cosa che, secondo me, si dovrebbe avere il buon gusto di evitare di fare: telefonare a casa di qualcuno per dire Guarda che Tizia si aspetta che tu la inviti a cena per il tuo compleanno.

giovedì 24 maggio 2012

due cose belle



il vento ha fatto arrivare il profumo del gelsomino all’improvviso. Camminavo per la strada, ‘sta mattina, non era ancora del tutto sveglia, ché ho il risveglio lentissimo io.

sopra la sveglietta ho trovato un Bacio Perugina, regalo della mia nuova socia d’avventura. Sono andata alla scrivania, dovevo inserire in una tabella dei dati, poi sono tornata al bancone per continuare quello che stavamo facendo ed era lì.

(l'ordine è temporale)

mercoledì 23 maggio 2012

una, tre, tante


È finita la prima settimana e oggi abbiamo iniziato la seconda. Son contenta di come è andata e stanca morta. Potrei evitare anche di dirlo che son stanca, ché in questo periodo è così, più o meno tutti i giorni. Sentirò la primavera. Siamo ancora in primavera, quindi può essere che sia perché sento la primavera. Il primo giorno, mercoledì scorso, a parlare, cercare di spiegare e cercare anche di non confondermi son arrivata a casa che mi faceva mal la gola e la testa. Poi da giovedì è andata meglio. Ogni giorno un po’ meglio. C’è una cosa molto bella, secondo me,  nell’iniziare a lavorare con una collega appena arrivata e molto più giovane: torna l’entusiasmo (ché l’entusiasmo è spesso contagioso), si limita il mugugno (ché non è bello iniziare qualcosa già mugugnando), ci si costringe a ragionare su tutto, anche quello che ormai si fa in automatico (ché più domande ci si fa mentre si lavora meno errori si fanno, e se l’errore arriva si può capire dove abitava). Va be’ son tre cose, lo so, che poi sarebbero anche di più di tre a volerle mettere tutte ma in realtà è una perché son poi cose tutte collegate.

domenica 20 maggio 2012

un prima e un dopo

Ci son delle cose che mi son successe che mi sembra che abbiano fatto in modo che ci sia un prima e un dopo. Ognuno, mi vien da pensare, avrà i suoi momenti che hanno fatto nascere dei prima e dei dopo. Io, ieri, pensavo ai miei prima e ai miei dopo. Mi venivan in mente delle cose, come dei ricordi, anche se a voler usare le parole per quello che significano, non è giusto chiamarli ricordi perché quello che fa nascere un prima e un dopo è qualcosa che poi vive con me sempre anche se è un sempre con una data d’inizio. E mi son ricordata di quando mi era appena successa una cosa, che era una cosa bellissima, e che proprio in quel momento lì, quando era appena successa, io mi ero resa conto che era appena successo qualcosa che avrebbe fatto nascere un prima e un dopo, e quando quel momento lì era finito avevo pescato tra le cose che mi giravano per la testa la più innocua, solo per avere una scusa per voltarmi e far durare quel momento un attimo in più. Come se mi servisse ancora un attimo per finire di stamparmelo dentro.

sabato 19 maggio 2012

come mai


E lì seduto sul divano, alle tre del mattino, con i pensieri scuri della notte, mi sono chiesto come mai invece noi, ogni volta che facciamo fatica, e ci trema tutto per la tensione, e ci sembra di soccombere, e quasi non riusciamo a respirare, come mai noi quando poi ritorniamo a terra non alziamo le braccia, e non ridiamo, e non esultiamo, e non c’è nessuno a farci l’applauso?
Presente - Settembre - Andrea Bajani - pag.196

giovedì 17 maggio 2012

uno spazio


Sulla porta della rosticceria, quella che poco tempo fa declamava la zuppa ai ceci, è comparso un cartello nuovo. Son sempre scritti a mano, sempre in stampatello maiuscolo. Quello di oggi era scritto in rosso su sfondo bianco. Passando con l’autobus ho letto: NON VI PROMETTIAMO MARIO MONTI / Né FIORI Né CENE / MA LA QUALITà E LA CORTESIA / DA NOI LE TROVERETE SEMPRE. Mario Monti? mi son chiesta, poi ho capito. Mi piaceva di più alla prima lettura.

martedì 15 maggio 2012

pensieri in ordine sparso (quasi)


Sto leggendo un libro che è diviso in mesi. E non ho iniziato da gennaio, che poi sarebbe il suo inizio, ma da novembre. Ho letto novembre, luglio, marzo, gennaio, maggio e settembre. Adesso, tra poco, leggerò ottobre. E pensandoci, pensando a questa cosa qua di aver cambiato l’ordine dei capitoli pensavo anche: ma perché l’ho fatto? e poi, perché no? mica me l’ha detto il medico di leggerlo iniziando dall’inizio. E poi continuavo, e in questo dialogo tra me e me stessa medesima, che stavo facendo mentre venivo a casa mi dicevo: quasi quasi mi leggo un altro mese, e pensavo: leggerò ottobre. E poi mi dicevo che anche se me lo avesse detto il medico io non so se lo avrei fatto d’iniziare da gennaio solo perché me lo diceva il medico, magari lo potevo fare se ne avessi avuto voglia o se avessi pensato che andasse meglio iniziare dall’inizio. E mi è venuto in mente che poco fa un medico mi aveva detto: leggo che ha rifiutato un vaccino sperimentale e che io gli avevo detto: sì, è vero. E poi alla fine della visita lui voleva convincermi a fare una cosa che io non volevo fare e gli avevo detto: veramente io sono qui per un altro motivo e mi sembra che questo che lei mi sta consigliando non centri niente con il motivo per il quale son qua. E che lui si era stupito, e secondo me anche un po’ offeso, della mia risposta, e che una sua futura collega, che era lì anche lei ma che aveva il compito di trascrivere delle cose in cartella e guardare, aveva detto guardandomi: mi sa che la signora non ha molta fiducia nei medici. E poi ci eravamo sorrise a vicenza io e quella futura collega di quel medico.

potendo scegliere

cosa fare  'sta mattina

lunedì 14 maggio 2012

primo lunedì


venerdì sera mi sono ripromessa che non darò mai più a nessuno il potere di farmi piangere per delle cazzate lavorative. Ché sarò anche stanca, sarò anche mezza esaurita, ma non mi sembra proprio il caso di lasciare tutto questo potere in mano a gente che non lo sa gestire e che ogni volta che può se ne approfitta. Son curiosa di vedere come inizierà la prima settimana. Quanto tempo ci metterò per abituarmi a considerare il lavoro solo un lavoro e le persone che lavorano con me solo come dei colleghi.

domenica 13 maggio 2012

spaziotempo


Ieri sono andata a sentire la presentazione di un libro, Bar Atlantic s’intitola quel libro e Bruno Osimo è il nome dell’autore che ieri era in libreria da Fabio a parlarci del suo libro. Quando Fabio ha mandato la mail per dircelo, nel testo della mail c’era scritto: sabato 12 alle 17,30 (a capo) introduce Antonio Vivaldi (a capo) foto della copertina del libro (a capo) clicca il logo per il blog. E allora, se poi click sul logo lo facevi, secondo me anche chi non aveva ancora letto il libro o di quel libro non ne sapeva niente era invogliato ad andare. A me Fabio sta simpatico e il suo lavoro lo fa proprio bene, ma le mail per sponsorizzare le presentazioni spesso tendono, secondo me, troppo al minimalismo (se si potesse dire una castroneria simile).
Mentre andavo pensavo chissà se Antonio Vivaldi è una persona e se mentre aspettiamo ci sarà musica di Antonio Vivaldi (che riposi in pace). Magari all’autore l’ispirazione per quel libro è arrivata mentre ascoltava Vivaldi o magari l’ha scritto ascoltando Vivaldi. E poi mi è tornato in mente un romanzo e dentro quel romanzo Vivaldi c’era e quando l’autore è passato da Genova, stavam parlando, mi ha chiesto Hai mai sentito un concerto alla Pietà? e al mio no ha continuato dicendo Devi provare. Poi ho provato e devo dire che aveva ragione, molto bello sentire un concerto nella Pietà. (Da casa alla libreria ci sono circa venti venticinque minuti a piedi, di tempo per andare da un’immagine all’altra ce ne è) Tornando a ieri,  Antonio Vivaldi era presente, un omonimo, e fa, se ho capito bene, il ferroviere e il traduttore, o il traduttore e il ferroviere se si preferisce. È stata una bella presentazione anche se la mia sensazione era quella che Osimo avesse poco la possibilità di dire quello che voleva ma non per mancanza di libertà, per mancanza di spaziotempo. A guardarlo, da dove ero io, dalla mia seggiolina, ho avuto come l’impressione che a volte (spesso) la risposta che aveva dato era solo un pezzo della risposta, che stesse ancora finendo di mettere insieme le sue idee per finire quando arrivava la domanda dopo. Che delle pause non venissero viste come pause ma come dei punti. E allora mi dispiaceva e non riuscivo più a guardarlo e per via della cosa della mancanza di spaziotempo, che molto probabilmente non era reale, ma che io vedevo come reale, distoglievo lo sguardo e mi mettevo a guardare in basso, i suoi calzini. Aveva dei calzini a righe che trovavo molto belli. Nella sua copia di Bar Atlantic c’erano dei foglietti che tenevano il segno di alcune pagine ma non so che pagine fossero e mi sarebbe piaciuto saperlo, ma non c’è stato spaziotempo. E ieri c’era una ragazza, anche lei traduttrice, e un’altra ragazza che fa la guida turistica, e una donna che è un’insegnante d’inglese e un ragazzo che ha preso la parola, senza però dire il suo lavoro, e sembrava molto importante questa cosa qui del sapere che lavoro si fa, e sembrava anche che si conoscessero tutti, o meglio che Vivaldi li conoscesse tutti. E a un certo punto a me veniva da dire E se adesso ne leggesse lui un pezzetto del suo libro? Ma non sono cose che si possono dire. E poi a un certo punto la prof d’inglese ha detto che lei insegnava inglese ai bambini usando le canzoni e a me è venuto da dire Shir, ma mica l’ho detto, ho solo sperato che a Osimo venisse in mente (o che fosse dotato della capacità di leggere nel pensiero) e che magari quel pezzetto lo leggesse lui, che poi forse ci starebbe anche stato bene dal momento che dal romanzo il discorso s’era spostato sulla traduzione.
E mentre tornavo a casa pensavo che pur sapendo che Osimo traduce non avevo mai cercato da che lingua traduceva, dando per scontato che fosse dall’ebraico (e sperando che sapesse anche l’yiddish), e invece no, traduce dal russo e dall’inglese quindi, pensavo tornando a casa, non posso contare su di lui per andare avanti a leggere Shalom Aleichem. E mentre camminavo pensavo al vizio d’inventarsi le cose senza neppure rendersene conto, e all’altro vizio, quello più pericoloso, quello di dar le cose per scontate. E pensavo: ammesso di andarci, se nessuno nei prossimi anni, tradurrà altri suoi libri (suoi di Aleichem), quando sarò in pensione mi metterò a studiare l’yiddish. C’è lo scoglio gigante dell’alfabeto però un po’ di tedesco (pochissimo, pochissimissimo) lo so, chissà magari se mi metto d’impegno e trovo un buon maestro ci riesco.

venerdì 11 maggio 2012

freschezza


Quando sento la parola freschezza e la parola politica nella stessa frase mi vien voglia di mangiare una mozzarella. Son scema, son proprio scema.

mi domandavo


Quando gli incubi rubano il sonno, poi si possono denunciare, si può denunciarne quel furto?
Se sì, a chi? e poi Se sì, che senso avrebbe?

giovedì 10 maggio 2012

femminile


… comincia a provare una sensazione del tutto misteriosa e banale: non è beatitudine, non è estasi, non è gioia ma quella pura e semplice felicità – das Glück, le bonheur, la felicidad – cui sono stati attribuiti tutti e tre i generi, anche se bisogna riconoscere, magari malvolentieri, che ha ragione lo spagnolo: la felicità è abitualmente femmina nel senso che la creano le donne.

Un uomo solo -  C. Isherwood – pag.98


non abbastanza


A  volte penso che mi piacerebbe urlare Basta e vedere se poi sto meglio. Ma non per modo di dire. Proprio sul serio, urlare Basta, con tutto il fiato e la forza che possiedo. Ma è difficile fare una cosa che ti hanno insegnato che va fatta solo in casi disperati. E allora mi domando se  questa disperazione è sufficiente per avere il diritto di farlo, e mi rispondo che no, non è abbastanza, che si può andare avanti ancora un po’, che poi magari le cose cambiano, che è un momento così, che è un periodo così.

lunedì 7 maggio 2012

raccolta

Ho quasi completato la racconta punti. Andiamo al ballottaggio, mi sa che tra poco è finita. Finita questa facciam che basta? mi domandavo dopo aver votato mentre andavo a lavorare, Facciam che continuiamo senza metterci su il cuore. Ma neppure un ventricolo, neppure mezzo atrio, mi rispondevo.

in assoluto


Son quasi commossa. Ho ricevuto il primo SMS di mio papà. Non il suo primo SMS a me, il suo primo SMS in assoluto. Ieri quando li ho sentiti e mi hanno detto che oggi sarebbero partiti per Venezia, l’ho un po’ stuzzicato, gli ho detto Guarda che i papà delle mie amiche mandano i messaggini alle figlie, gli ho detto che secondo me ce la faceva a mandarmene uno, che la sua era più una scusa che altro, che faceva apposta a dirmi Non son capace (su mia mamma non posso fare affidamento perché il cellulare per lei è proprio un oggetto misterioso, si rifiuta, non lo accende neppure). E adesso, o meglio da quando l’ho visto son contentissima. Quando mi è arrivato ho messo lo strumento che stavo usando in pausa e sono andata sul terrazzo a richiamarlo subito.

Il testo dell’SMS è: iamoarrivatiallidoalleluiapapà
‘sta sera gli spiego come si fanno gli spazi e bon, ci siamo, adesso si può comunicare anche così.

domenica 6 maggio 2012

bivalvi


Ci sono dei molluschi bivalvi che te li compri, poi li togli dalla retina e li lasci un giorno in acqua e sale. Se fa freddo metti la pentola sul terrazzo, se fa caldo in frigorifero. Poi durante l’arco di quella giornata, una volta cambi l’acqua, sempre mettendoci del sale che loro sono dei bivalvi marini e l’acqua la preferiscono salata. Poi le prendi e, una a una, le batti sul lavandino ché se una è morta allora può avere dentro la sabbia e se la lasci insieme alle altre rovina tutta la bagna. Una volta che le hai controllate tagli l’aglio a pezzi grossi, così poi li vedi e se vuoi li mangi se no eviti, e tagli anche del prezzemolo ma dopo averlo lavato. Poi metti una pentola sul fuoco, ci metti l’olio, scaldi, ci metti l’aglio, aspetti che si imbiondisca (chissà chi è stato a usare per primo imbiondire per l’aglio e la cipolla) ci butti i molluschi bivalvi, metà del prezzemolo, uno e due peperoncini spezzattati (poi mi raccomando non grattarsi gli occhi con quelle mani), un bicchiere scarso di vino bianco e alzi il fuoco, appena vedi che si stanno aprendo abbassi e metti il coperchio. Tempo di metter giù due piatti (anche qualcuno in più se si vuole) e sono pronte. Togli il coperchio, ci dai una remesciata per controllare che siano tutte aperte ché la mamma ha inculcato che se son chiuse non le si mangia (intendo dopo averle aperte a forza) e aggiungi a freddo l’altra metà del prezzemolo.
Ecco io lo so che è una cosa crudelissima, so che se ci si ferma un attimo a pensare a quello che si sta facendo, alla strage che si sta facendo, poi si fa fatica a mangiarle, però. Però, non so, sarà la mia parte Crudelia De Mon ma io le vongole le trovo buonissime.

surfinie






E anche oggi Senza catene si è incatenata al tavolo. Comincio a pensare che quel soprannome abbia un qualche difetto. Solo che oggi, dal momento che non voleva fare come ieri pomeriggio e accendersi una sigaretta dietro l’altra illudendosi che la nicotina le portasse ispirazione, le ha lasciate un fià più lontane. E quando si alzava per andare a fumarsene una si guardava le sue surfinie, che quelle sì sono belle. Proprio belle belle.

sabato 5 maggio 2012

la domanda giusta


Mah! - forse è vero; fino a un certo punto… Vedi, Kenny, ci sono cose che non sai di sapere, finché qualcuno non te le chiede.” /…/ “Qualcuno che ti faccia una domanda ci vuole,” continua George intenzionalmente, “prima che tu possa rispondergli. Ma è così raro trovare qualcuno che faccia la domanda giusta. Sono tutti così poco attenti.”

Un uomo solo – Christopher Isherwood – pag. 63-64

ormai sei grandina


(Passando il mocio, dialogo tra Latte e sé stessa medesima)

- Ha senso incazzarsi ogni volta, per ‘ste puttanate lavorative?
- No
- Hai la possibilità di fare un altro lavoro?
- No
- Sai fare un lavoro differente?
- No
- Hai bisogno della busta paga?
- Sì
- Sei in grado di pestare i piedi quando te li schiacciano?
- Raramente, confido nell’intuito di chi mi sta vicino e nella sua capacità di immedesimazione.
- Andiam bene. Qualcuno ti ridà indietro il tempo che butti via incazzandoti?
- No
- Ecco, vedi te, io ci penserei, poi deciditi una buona volta che ormai sei grandina.

venerdì 4 maggio 2012

jojo (2)


(jojo parte seconda, cambio di una protagonista. Qua si fanno variazioni sul tema, ma la sostanza cambia poco)

- Ciao.
- Ciao.
- Volevo chiederti se mi scongeli una linea che mi serve con una certa urgenza: le xyz. Lo so che me le hai date che non è tanto ma eh …  diciamo che non godono di ottima salute.
- Va bene.
- Le scongeli lunedì?
- Va bene.
- Le metti già in due fiaschine così le prendo subito?
- No, patiscono, devon star vicine all’inizio, finché non si riprendono.
- Senti, settimana prossima dovremmo anche vederci per fare il punto.
- Lunedì ho la giornata già piena, aspetta che prendo l’agenda. Martedì pomeriggio?
- Esco presto che ho pilates
- Giovedì, pomeriggio?
- Non posso.
- Venerdì pomeriggio?
- Ho pilates.
- Che data proponi?
- Mercoledì pomeriggio, mi sembra che ti vadano meglio i pomeriggi.
- Me lo faccio andar bene, potete venire voi così evito di farmi avanti e indietro e finisco una cosa dopo la riunione?
- Non puoi venire tu? Ah e poi volevo dirti che il capo ha proposto una riunione sabato 12. Ho detto di sì, va bene anche a te vero?
- No.

Lo so che poi cambierò il no in sì. Lo so perché mi conosco e perché son stupida. Quello che non so è perché continuo ad arrabbiarmi o a domandarmi perché ho la colite. O perché sento il bisogno di prender su un libro e scapparmene da un’altra parte nel modo più veloce (e più bello) possibile, di catapultarmi nel giro di pochi minuti altrove, con altra gente, magari non trovarmi bene, perché non è mica detto che dove andrò starò bene, ma almeno cambiar aria per un po’.

giovedì 3 maggio 2012

che cosa hai scoperto oggi?


C’era una volta (c’è ancora ma non lavoriamo più insieme, mi piaceva come inizio, tutto qui), c’era una volta un mio capo, un argentino, molto simpatico, sempre sorridente, sempre agitato. Sembrava che non avesse mai tempo per fermarsi un attimo. Era sempre come inseguito da un’agitazione gioiosa, se si capisce cosa voglio dire. Anche sua moglie era molto simpatica e i loro due figli, più il secondo del primo però. Lui, quello che era mio capo quando sono andata a lavorare a Dallas, in mezzo al nulla era quel laboratorio, un posto con tasso di distrazione zero, lui alla fine di ogni giornata mi domandava: Latte che cosa hai scoperto oggi? Io le prime settimane la temevo quella domanda, non eravamo in confidenza, mi sembrava che ogni sera dovessi dirgli chissà che cosa. Iniziavo a pensarci dopo mangiato, mi chiedevo E oggi? Che cosa gli dico oggi? Poi ho capito. Dopo. Mi ci è voluto del tempo. Son lenta a capire. Ero lenta anche allora. Un giorno ero arrabbiata perché avevo fatto un errore stupido ma grande, un errore di quelli che si fanno per distrazione e che quando te ne accorgi, perché te ne accorgi, ti tocca buttar via tutto il lavoro di un giorno e riiniziare da capo (il giorno dopo). La sera di quel giorno gli ho risposto: che quando faccio un errore stupido, che bastava star più attenta che non lo facevo, poi mi arrabbio. E quella sera lui mi ha detto: bella risposta, stai migliorando. Vieni a cena da noi domani sera?

E ‘sta sera tornando a casa mi è tornato in mente quel gioco. È tanto che non lo faccio, è un gioco che funziona solo se lo si fa per tanto tempo, ogni sera, con pazienza, rispondendo sempre.  E ho deciso che ne avevo voglia e così ho iniziato e mi sono domandata: che cosa ho scoperto oggi? Che se si dimentica a casa il cucchiaino a mangiare lo yogurt con il manico della forchetta ci si mette del gran tempo.

mercoledì 2 maggio 2012

di un eretico


Gli chiesi di provare il Navy Cut, con cui caricai la sua pipa, e gli diedi un fiammifero. Gli piacque. Ero sicuro che gli sarebbe piaciuto. Emise una nuvola di fumo profumato e disse con ammirazione:
“È buono; molto, molto buono; brucia facilmente e ha l’odore di un eretico”.
Ciò mi fece rabbrividirei un po’, ma non era nulla; abbiamo tutti le nostre metafore, i nostri simboli, le nostre figure retoriche, che cambiano a seconda dell’ambiente, delle condizioni, dei gusti, della formazione e così via.

Conversazione con Satana in Il racconto del becchino e altre storie – Mark Twain – pag. 37-38.

martedì 1 maggio 2012

un nuovo tipo


Io non so ma ho come l’impressione di essere in duplex con qualcuno. Un nuovo tipo di duplex. Mi sembra, lo so che è impossibile, ma mi sembra in un modo tale che una parte della mia testa lo crede, mi sembra che ci sia una persona che usa l’acqua calda in duplex con me. Non sempre, solo quando faccio la doccia o il bagno. E non con questo appartamento, proprio con me. A Daniele infatti non succede. Invece a me sta succedendo molto spesso. Anche poco fa, prima la temperatura dell’acqua andava bene, era come piace a me, poi è diventata gelida, ho regolato diversamente e dopo pochissimo era bollente, così calda che non riuscivo a starci sotto. Mentre mi asciugavo pensavo che questo tipo di duplex è una gran seccatura e che l’altro, sarà che appartiene al passato, però l'altro un po’ mi manca. Mi manca quel tirar su il telefono, sentirlo muto e sperare che chi è in duplex faccia veloce o sia verso la fine della telefonata.