domenica 28 marzo 2010

emma

Sono andata a votare. Non ne avevo nessuna voglia. Sono abbastanza schifata dalla situazione. Non avrò votato tre, quattro volte al massimo. Quando sono arrivata alla scuola dove c’è il seggio stavano uscendo due signore, anziane, camminavano a braccetto. Una aveva il bastone nella destra, l’altra lo teneva con la sinistra. Tornando a casa mi è venuto in mente che quando ho saputo che noi abbiamo avuto la possibilità di votare tardissimo mi era sembrata una cosa orrenda. Penso che quella sia stata la prima volta, se non la prima sicuramente una delle prime, che la differenza uomo/donna mi è sembrata qualcosa di concreto. Pensavo anche che non ho mai chiesto a mia nonna che cosa ha provato la prima volta che ha votato. Lei non me lo ha mai raccontato. Però rimane sempre il fatto che io non glielo ho mai chiesto. Ora mia nonna mi racconta poche cose. Fino a pochi anni fa le piaceva raccontare, adesso meno. Io e mia nonna abbiamo le stesse mani e gli occhi dello stesso colore. Gli occhi di mia mamma e quelli di mio papà sono differenti. I miei sono del colore del nonno paterno e di mia nonna materna. Più simili a quelli di mia nonna però. La trasmissione dei geni recessivi è una cosa bellissima e Mendel era un grande. Certo che a fare il monaco bello tranquillo con un orto e piante di pisello a disposizione doveva essere ben bello. Altro che stare in un laboratorio. Poi mi è venuto in mente che la prima volta che ho postato un commento in un blog come nick ho scelto il nome di mia nonna: emma. Scritto minuscolo, come fa lei. Lei firma nome e cognome attaccati. Scritto tutto minuscolo.

venerdì 26 marzo 2010

empatia flessibile

Il mio metodo per cavarmela era semplicissimo. Chi vuole capire cosa passa per la testa degli altri, deve mettersi nei loro panni, anche se risulta difficile accettare che esistano determinate somiglianze. Non solo perché stiamo parlando di bipedi che di solito hanno due orecchie e gli piace mangiare bene, proprio come a me. È molto peggio! Prenda quel farabutto, per esempio, quello che voleva rubarmi la borsa – in fondo devo a quel disgraziato la sua conoscenza -, ma se voglio capire che cosa lo spinge ad agire, devo trovare la cleptomane che è in me. // La compassione non è il mio forte, ma di un’empatia flessibile, se capisce quel che intendo, di quella sono capace.

Josefine e io Hans Magnus Enzensberg pag.71

giovedì 25 marzo 2010

leggo poco e mangio quando capita

Sono stanca. Arrivo alla sera che posso solo buttarmi sul divano, accendere la tele e addormentarmi nell’arco di mezz’ora con una mano su Cato (che arriva appena mi sdraio). Un quadro penoso. Ho analizzato la cosa e sono giunta a queste conclusioni
- un po’ sarà la primavera (e non ci posso fare nulla, di solito la stanchezza da primavera mi dura poco. Speriamo bene)
- un po’ sarà che non sono più giovane (e non ci posso fare nulla, poi questa età non mi dispiace)
- un po’ sarà che c’è una montagna di lavoro da fare e io, se ho tante cose da fare, finisce che salto da una all’altra sfinendomi e concludendo poco. Oggi ho ricevuto il foglietto con i timbri di febbraio: trenta ore di straordinario, e non vanno in busta paga (e posso fare qualcosa, ho deciso di prendermi venerdì di Pasqua e lunedì dopo, quello di Pasquetta, di recupero).
Oggi guardavo i miei due foglietti già firmati dal capo, basta solo consegnarli. La cosa mi ha messo di buon umore e mentre tornavo a casa canticchiavo: voglio trascurarmi un po’/voglio trascurarmi/leggo poco e mangio/quando capita.

sabato 20 marzo 2010

oro nero

Interpreti: una ragazza di circa 15 anni, Latte
Scena: via XX settembre
Oggetti in scena: uova di cioccolata

Ragazza: vuole comprare un uovo dell’AIL?
Latte: sì ma quando ripasso.
Testa di Latte: non voglio avere un sacchetto in mano quando vado a scegliermi i libri, mi servano le mani libere.
Testa della Ragazza: con cavolo che questa ritorna.
Tornando indietro Latte non cambia marciapiede.
Latte: ne avete uno nero?
Ragazza: no signora i colori sono questi.
Latte: :DD e uno con il cioccolato fondente l’avete?
Ragazza: sì, è quello con la carta color oro.

poi mi sono svegliata

Oggi ho sognato che ero vecchia, vivevo a Venezia nella casa dove è nata mia mamma e ero felice. Avevo cinque gatti nel sogno, e dopo aver dato loro da mangiare andavo a far la spesa al mercato di Rialto poi tornavo a casa, sistemavo quello che avevo comprato, prendevo un libro e andavo ai giardini di S Elena a leggere, su una panchina, sotto un glicine. E ero felice, tanto, felice dentro. Poi mi sono svegliata.

mercoledì 17 marzo 2010

eguaglianze

oggi ho pranzato con un etto e mezzo di ravioli di boraggine conditi olio e grana + un yogurt al lampone con lo 0.1 % di grassi = sono una contraddizione vivente

martedì 16 marzo 2010

affermazione spiazzante

“Io sono così claustrofobica che quando c’è un raggio di sole sto subito meglio.”
L’ho sentito oggi mentre camminavo per i corridoi dell’ospedale. Precisamente alle nove e dieci, superando una signora che camminava con calma parlando al cellulare.
Io la riciclo, mi piace troppo. La trovo un’affermazione spiazzante.

lunedì 15 marzo 2010

signora Latte

‘sta mattina al bar c’era una bambina che si chiama come me e ci siamo messe a parlare. Ho iniziato io quando ho sentito sua mamma dirle: Latte sta attenta alla signora. È una bambina molto simpatica, lei non aveva mai incontrato un’altra Latte ma mi ha raccontato che al suo asilo ci sono tre Mattei, due Marchi e due Sofie. Quando sono andata via mi ha salutato dicendo: buona giornata signora Latte. E, a pensarci ora, è stata realmente una buona giornata.

domenica 14 marzo 2010

appese

Ieri sono andata al cinema a vedere Genitori e figli. Agitare bene prima dell’uso. Carino. Sono proprio contenta di essere andata a vederlo che avevo delle lacrime appese e adesso non ci sono più. Ci sono dei giorni che mi capita di avere le lacrime appese e non c’è nessun motivo serio per averle, però son lì. Non posso (e non voglio) neppure smettere di sentire quello che sento e quello che sentivo era la sensazione di avere le lacrime appese. E non tornavano indietro, e non scendevano. Stavan là. Appese. E ‘sta mattina mentre stiravo mi è tornato in mente che una volta, avrò avuto quattordici quindici anni, avevo visto un film triste in televisione, e avevo pianto e mia mamma, vedendo che avevo pianto, mi aveva domandato che cosa del film mi aveva fatto piangere. Io le avevo risposto che non era solo il film, era che avevo voglia di piangere e non ci riuscivo ma con il film ci ero riuscita, e lei mi aveva sorriso. E poi alla domanda che mi si leggeva in faccia, e che non facevo, mi aveva detto: Non ti preoccupare, siamo in tante a cercare una scusa. I film funzionano. E subito dopo questo ricordo mi è venuta in mente una frase di Roth (Giuseppe non Filippo) che ho trovato all’inizio di un libro, una frase e che mi era piaciuta molto. Per degli anni (non sempre, ogni tanto) mi sono domandata da dove veniva quella frase e poi, non so bene dove ho trovato il coraggio, io l’ho domandato a quello scrittore da che romanzo di Roth aveva preso quella frase e dal momento che lui è una persona molto gentile me l’ha detto. Quel libro di Roth poi l’ho letto e avrei scommesso che fosse una frase detta da una donna e invece no, l’aveva detta un uomo.

(la scena del film era quella dove Nina si fa firmare la maglietta dalla Nannini e per la dedica dà il nome di sua mamma; secondo me nessuno piange a quella scena a meno che non abbia delle lacrime appese)

giovedì 11 marzo 2010

non sappiamo mai e poi mai di cosa realmente abbiamo bisogno

// non sappiamo mai e poi mai se abbiamo bisogno di qualcuno o se non ne abbiamo bisogno o se se abbiamo bisogno di qualcuno e al tempo stesso non ne abbiamo bisogno e poiché non sappiamo mai e poi mai di cosa realmente abbiamo bisogno siamo infelici //Da un lato noi sopravvalutiamo l’Altro, dall’altro lo sottovalutiamo e continuiamo a sopravvalutare noi stessi e a sottovalutarci, e quando ci dovremmo sopravvalutare ci sottovalutiamo come ci dobbiamo sottovalutare quando ci sopravvalutiamo.
Cemento Thomas Bernhard pag.27

mercoledì 10 marzo 2010

compiti

Ieri compito a sorpresa di genovese. La mia amica C. sta leggendo un giallo di uno scrittore genovese e in fondo al libro c’è il glossario così ha pensato bene di farmi un’interrogazione a sorpresa. Dal momento che è un’amica la prima parola che mi ha chiesto era maniman, che è facile, vuol dire non sia mai, e poi ogni tanto la uso quindi era abbastanza sicura che la sapessi. Poi ce ne sono state altre, alcune le sapevo come pateca (anguria) o besagninn (fruttivendolo) altre no. Dovrò fare le fotocopie di quelle pagine e studiare. C. era soddisfatta della sua allieva e io pensavo che se vado avanti così riuscirò a cantare Creuza de ma (stonando, ma a quello non c’è rimedio) .

Oggi corso sulla real time PCR con compitino finale a risposta multipla. Tutta la giornata, sono un po’ stanca ché alcune cose le sapevo già altre erano del tutto nuove, e dovrebbe essere così dal momento che uno si dovrebbe iscrivere ai corsi realmente per aumentare le sue conoscenze e non solo per ottenere gli ECM (che sono dei crediti, dei punti che ogni dipendente deve ottenere). Nel triennio 2008-2010 devo raccogliere 150 punti e non sono molto avanti con la mia formazione-raccolta punti. ‘sta giornata mi ha dato 6 ECM, sempre che rispondendo al test non abbia fatto troppi errori.

lunedì 8 marzo 2010

presentazioni

Se uno va sul sito di Ascanio Celestini la prima cosa che trova scritta, il primo impatto con quella pagina, la prima cosa che legge è:

Mi chiamo Ascanio Celestini,
figlio di Gaetano Celestini e Comin Piera.
Mio padre rimette a posto i mobili, mobili vecchi o antichi
è nato al Quadraro e da ragazzino l’hanno portato a lavorare sotto padrone
in bottega a San Lorenzo.
Mia madre è di Tor Pignattara, da giovane faceva la parrucchiera
da uno che aveva tagliato i capelli al re d’Italia
e a quel tempo ballava il liscio.
Quando s’è sposata con mio padre ha smesso di ballare.
Quando sono nato io ha smesso di fare la parrucchiera.
Mio nonno paterno faceva il carrettiere a Trastevere.
Con l’incidente è rimasto grande invalido del lavoro,
è andato a lavorare al cinema Iris a Porta Pia.
La mattina faceva le pulizie, pomeriggio e sera faceva la maschera,
la notte faceva il guardiano.
Sua moglie si chiamava Agnese, è nata a Bedero.
Io mi ricordo che si costruiva le scarpe coi guanti vecchi.
Mio nonno materno si chiamava Giovanni e faceva il boscaiolo con Primo Carnera.
Mia nonna materna è nata ad Anguillara Sabazia e si chiamava Marianna.
La sorella, Fenisia, levava le fatture
e lei raccontava storie di streghe.

Questa cosa, che poi è un po’ anche il suo modo di presentarsi a chi arriva, io quella cosa lì che si trova il centro, in alto, nella prima pagina del suo sito, la trovo bellissima.

domenica 7 marzo 2010

scoperta

‘sto pomeriggio mia nipote mi ha spiegato che anch’io posso fare i tuffi di testa senza prendere le panciate, basta che mi guardi la pancia fino a che non sono tutta nell’acqua, poi posso anche smettere. Lei l’ha scoperto ieri in piscina e ha detto che poi me lo insegna ma che è meglio che inizi dal bordo della piscina, in ginocchio.
Non si smette mai di imparare.

giovedì 4 marzo 2010

desbelinarsi

Da quattro giorni lavoro con una nuova collega, giovanissima. Oggi stavamo parlando del fatto che cambiare città è bello ma all’inizio si fatica, un po’. Lei viene da Bologna, io sono arrivata, tanti anni fa, da Bergamo. Eravamo lì a parlare di queste cose quando a me è scappato: però ci si desbelina. Ci siamo messe a ridere, ma tanto, e quando c’è passata la ridarola lei mi ha chiesto: ma poi parlerò così anch’io?

mercoledì 3 marzo 2010

+1

Secondo me esiste anche per la pagina scritta, non si chiamerà sindrome di Stendhal, avrà un altro nome ma secondo me esiste. Deve esistere anche per la pagina scritta se no come me le spiego io certe cose? Se sia una presunta affezione psicologica o meno questo non lo so, sono ignorante anche in questo campo e poi, a esser del tutto sincera, non è che la cosa mi interessi più di tanto. Che mi mancano dei venerdì all’appello lo so da quel dì.

i sintomi sono: tachicardia, capogiro, vertigini, confusione e anche allucinazioni
i soggetti colpiti sono: al cospetto di opere d'arte di straordinaria bellezza, specialmente se sono compresse in spazi limitati
malattia rara: colpisce principalmente persone molto sensibili


è quella cosa lì delle persone molto sensibili che non mi torna. Potrebbe quindi essere stata anche una non digestione della pizza campagnola o meglio dei peperoni che ieri sera erano sulla pizza campagnola. Poi però non mi spiego le altre tre volte che mi è capitato anche se io adesso non mi ricordo mica bene che cosa avevo mangiato due di quelle volte. Solo la prima volta me lo ricordo: era luglio ‘99, ero in riva al mare, su un’isola (se uno vuol fare il puntiglioso e si domanda: che isola? Lavezzi si chiama l’isola), avevo fatto colazione normalmente ma poteva essere il traghetto preso poco prima ad avermi fatto quello scherzo.