sabato 27 novembre 2010

dei danni

Oggi sono stata a Arenzano, volevo sentire Nori. E mi è successo che un discorso che stavo facendo qualche giorno fa con la mia amica C. (che ha un numero di anni meno di me tale che si può tranquillamente dire che è della generazione dopo la mia) ha fatto corto con quello che stavo sentendo e così tornando a casa, sul treno che mi riportava a Brignole, ci ripensavo. E alla fine son arrivata alla conclusione che altro che star lì a non disturbare, c’è chi di noi ha fatto dei danni.
C’era un pezzo di quel discorso che, ora non lo ricordo a memoria, non ci posso mettere la mano sul fuoco che l’abbia letto senza cambiare nulla, ma se non era identico era molto simile, che fa: “Quelli che erano nati negli anni venti, e che avevano vent’anni negli anni quaranta, avevan dovuto combattere perché c’era la guerra e servivano dei soldati. Quelli che eran nati negli anni trenta, e avevan vent’anni negli anni cinquanta, avevan dovuto lavorare perché c’era stata la guerra e c’era un paese da ricostruire. Quelli che eran nati negli anni quaranta, e che avevan vent’anni negli anni sessanta, avevan dovuto lavorare anche loro perché c’era il boom economico e una grande richiesta di forza lavoro. Quelli che eran nati negli cinquanta, e che avevan vent’anni negli anni settanta, avevan dovuto contestare perché il mondo così com’era stato fino ad allora non era più adatto alla modernità o non so bene a cosa. Poi eravamo arrivati noi, nati negli anni sessanta e che avevamo vent’anni negli anni ottanta e l’unica cosa che dovevamo fare, era stare tranquilli e non rompere troppo i maroni. Mi sembrava che noi, avevo detto, fossimo stata la prima generazione che, se ci davano un lavoro, non era perché c’era bisogno, ci facevano un favore.” Io quel pezzo l’ho letto più volte e l’ho sempre trovato bello e vero. Mi ci sono sempre ritrovata in quel ragionamento e invece ‘sto pomeriggio mentre lo ascoltavo mi sono resa conto che, per me, ne manca un pezzo. Perché, secondo me, quelli della mia generazione, che poi è la stessa di quella di Nori dal momento che abbiamo un anno di differenza, non dico tutti ma molti, con il fatto di accettare un lavoro come un regalo, abbiamo fatto dei danni (e sarebbe anche il caso che la piantassi lì con gli impersonali e i discorsi generici e passassi all’io). Io sono una di quelli che ha fatto dei danni perché son stata ben contenta di ricevere una borsa post dottorato e son stata ben contenta di essere stata assegnista universitaria per quasi quattro anni. Io quei contratti li ho firmati, anche se non trovavo giusto che quei contratti non avessero un numero di giorni di ferie stabilito ma contemplassero ferie a discrezione del capo servizio. Io li ho firmati anche se non trovavo giusto che quei contratti prevedessero la maternità ma senza stipendio. In quei fogli c’era scritto che se volevi avere un figlio te te ne stavi a casa cinque mesi, perché per legge per cinque mesi non potevi lavorare, ma senza percepire stipendio, infatti è noto che per due mesi prima della nascita di suo figlio e per i primi tre dopo una donna non ha bisogno di mangiare, non paga l‘affitto e non spende in bollette, vive d’aria e della gioia della maternità. Io, dicevo, quei contratti li ho firmati e ero contenta di firmarli. Mi sentivo fortunata. E non sono neppure tanto sicura che ritrovandomici, ritrovandomi nelle stessa condizioni, con lo stesso entusiasmo che avevo in quel periodo della mia vita, non rifarei gli stessi errori. E l’altro giorno parlando di precariato con C. io alla mia amica glielo detto: è anche colpa mia se ci sono in giro contratti del genere. Io e altri con me, siamo stati tra i primi, abbiamo fatto da cavie e hanno visto che la cosa poteva funzionare. E adesso voi, avete il lavoro doppiamente più difficile, voi adesso, per poter cambiare le cose dovete fare il doppio del lavoro perché sanno che persone come noi esistono.
Però, sempre tornando verso Brignole, pensavo che bisogna anche trovare un modo di dar loro una mano che capire che si sono fatti dei danni è un punto di partenza ma non basta mica.

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