Ieri sono andata a sentire la presentazione di
un libro, Bar Atlantic s’intitola quel libro e Bruno Osimo è il nome
dell’autore che ieri era in libreria da Fabio a parlarci del suo libro. Quando Fabio
ha mandato la mail per dircelo, nel testo della mail c’era scritto: sabato 12
alle 17,30 (a capo) introduce Antonio Vivaldi (a capo) foto della copertina del
libro (a capo) clicca il logo per il blog. E allora, se poi click sul logo lo
facevi, secondo me anche chi non aveva ancora letto il libro o di quel libro
non ne sapeva niente era invogliato ad andare. A me Fabio sta simpatico e il
suo lavoro lo fa proprio bene, ma le mail per sponsorizzare le presentazioni
spesso tendono, secondo me, troppo al minimalismo (se si potesse dire una
castroneria simile).
Mentre andavo pensavo chissà se Antonio
Vivaldi è una persona e se mentre aspettiamo ci sarà musica di Antonio Vivaldi
(che riposi in pace). Magari all’autore l’ispirazione per quel libro è arrivata
mentre ascoltava Vivaldi o magari l’ha scritto ascoltando Vivaldi. E poi mi è
tornato in mente un romanzo e dentro quel romanzo Vivaldi c’era e quando l’autore
è passato da Genova, stavam parlando, mi ha chiesto Hai mai sentito un concerto
alla Pietà? e al mio no ha continuato dicendo Devi provare. Poi ho provato e devo
dire che aveva ragione, molto bello sentire un concerto nella Pietà. (Da casa
alla libreria ci sono circa venti venticinque minuti a piedi, di tempo per
andare da un’immagine all’altra ce ne è) Tornando a ieri, Antonio Vivaldi
era presente, un omonimo, e fa, se ho capito bene, il ferroviere e il
traduttore, o il traduttore e il ferroviere se si preferisce. È stata una bella
presentazione anche se la mia sensazione era quella che Osimo avesse poco la
possibilità di dire quello che voleva ma non per mancanza di libertà, per
mancanza di spaziotempo. A guardarlo, da dove ero io, dalla mia seggiolina, ho
avuto come l’impressione che a volte (spesso) la risposta che aveva dato era
solo un pezzo della risposta, che stesse ancora finendo di mettere insieme le
sue idee per finire quando arrivava la domanda dopo. Che delle pause non
venissero viste come pause ma come dei punti. E allora mi dispiaceva e non
riuscivo più a guardarlo e per via della cosa della mancanza di spaziotempo,
che molto probabilmente non era reale, ma che io vedevo come reale, distoglievo
lo sguardo e mi mettevo a guardare in basso, i suoi calzini. Aveva dei calzini a
righe che trovavo molto belli. Nella sua copia di Bar Atlantic c’erano dei
foglietti che tenevano il segno di alcune pagine ma non so che pagine fossero e
mi sarebbe piaciuto saperlo, ma non c’è stato spaziotempo. E ieri c’era una
ragazza, anche lei traduttrice, e un’altra ragazza che fa la guida turistica, e
una donna che è un’insegnante d’inglese e un ragazzo che ha preso la parola,
senza però dire il suo lavoro, e sembrava molto importante questa cosa qui del
sapere che lavoro si fa, e sembrava anche che si conoscessero tutti, o meglio che
Vivaldi li conoscesse tutti. E a un certo punto a me veniva da dire E se adesso
ne leggesse lui un pezzetto del suo libro? Ma non sono cose che si possono
dire. E poi a un certo punto la prof d’inglese ha detto che lei insegnava
inglese ai bambini usando le canzoni e a me è venuto da dire Shir, ma mica l’ho
detto, ho solo sperato che a Osimo venisse in mente (o che fosse dotato della
capacità di leggere nel pensiero) e che magari quel pezzetto lo leggesse lui,
che poi forse ci starebbe anche stato bene dal momento che dal romanzo il
discorso s’era spostato sulla traduzione.
E mentre tornavo a casa pensavo che pur
sapendo che Osimo traduce non avevo mai cercato da che lingua traduceva, dando
per scontato che fosse dall’ebraico (e sperando che sapesse anche l’yiddish), e
invece no, traduce dal russo e dall’inglese quindi, pensavo tornando a casa,
non posso contare su di lui per andare avanti a leggere Shalom Aleichem. E
mentre camminavo pensavo al vizio d’inventarsi le cose senza neppure rendersene
conto, e all’altro vizio, quello più pericoloso, quello di dar le cose per
scontate. E pensavo: ammesso di andarci, se nessuno nei prossimi anni, tradurrà
altri suoi libri (suoi di Aleichem), quando sarò in pensione mi metterò a
studiare l’yiddish. C’è lo scoglio gigante dell’alfabeto però un po’ di tedesco
(pochissimo, pochissimissimo) lo so, chissà magari se mi metto d’impegno e
trovo un buon maestro ci riesco.
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