martedì 19 aprile 2011

una spiona

Li guardavo dalla mia postazione sicura, sicura di non essere vista. Erano molto belli, se la ridevano insieme. Una risata allegra, una risata piena di briciole di brioche. Lui sembra avere più o meno la mia età, forse qualche anno in meno, mica tanti però. L’altro lui è giovanissimo, va all’asilo. Lo so perché da dove ero li sentivo, male però, al bar dell’ospedale c’è sempre molto rumore la mattina a quell’ora. Il lui più piccolo era sulle spalle del lui più grande. In una mano la brioche, nell’altra un succo di frutta, di quelli con la cannuccia. Rideva. Continuava a dire: dai sta fermo. Il lui più grande invece continuava a fare dei saltelli, piccoli, un po’ ridicoli, molto belli. Gli teneva una gamba con una mano. A guardare bene il lui piccolo mi sono accorta che aveva gli occhi rossi da pianto. Un ex-pianto che era visibile solo da quello, dal rosso degli occhi. La mano che teneva il succo era attaccata a un braccio tenuto in maniera innaturale. In maniera rigida. Il braccio rigido in maniera innaturale era il sinistro, il braccio che viene bucato più spesso anche perché la maggior parte delle persone non è mancina e di solito scelgono il braccio meno usato. Poi a un certo punto il lui più vecchio gli ha detto: guarda che mi hanno avvertito che è in arrivo un terremoto, e poi si è messo a ondeggiare, tenendogli tutte e due le gambe.
E io sono andata via, perché mi sono sentita una spiona.

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