mercoledì 30 novembre 2011

sulla mia maestra di prima elementare

A Bergamo si festeggia S. Lucia, è lei che porta i regali ai bambini e non Babbo Natale (o Gesù Bambino). Io questo non lo sapeva fino a che non sono andata in prima elementare. Nessuno me lo aveva detto, anche mia mamma non lo sapeva, anche lei non aveva mai festeggiato S. Lucia. Mio padre è probabile che lo sapesse, è bergamasco, ma non ha pensato di intervenire in questa cosa scelta da mia mamma, grande sostenitrice di Babbo Natale. E così io, la Latte bambina, sono andata a scuola il 13 dicembre della mia prima elementare ignara di tutto e tutte le compagne di classe avevano portato i loro regali in classe. Non capivo, poi ho iniziato anche a rimanerci un po’ male perché nella mia testa era difficile farsi una ragione del fatto che S. Lucia non avesse portato niente solo a me. E allora la maestra, che era bravissima, era veramente un genio della pedagogia, mi ha preso di parte e mi ha domandato: Non sai chi è S Lucia? Sì, le ho risposto, so chi è ma non mi ha mai portato i regali, quelli me li porta Babbo Natale dopo che ho scritto la letterina ma solo se sono stata buona. E allora lei, mostrando tutto il suo talento, la sua capacità didattica e la sua propensione all’educazione delle giovani menti, mi ha detto: Hai rischiato grosso. Se S. Lucia fosse passata a portarti i regali e tu avessi aperto gli occhi poi lei era costretta a soffiarti la cenere negli occhi e rimanevi cieca. Forse è perché non lo sapevi che non è passata.

Mia mamma ci ha messo dei giorni per farmi capire come stavano le cose senza dirmi che la maestra era una deficiente.

martedì 29 novembre 2011

buon compleanno

Non so chi la pensi giusta. Non so se ora vivi solo nel ricordo delle persone alle quali hai voluto bene e che continuano a volerti bene o se, come eri convinta tu, oltre a questo c’è altro. So che molto di quello che abbiamo fatto insieme è rimasto, in parte nei ricordi, in parte è diventato un pezzo di me.

lunedì 28 novembre 2011

sull'aggressività (la mia)

Dicono che in questo periodo sono aggressiva, può anche essere che sembri aggressiva, non discuto su questo. Ma il punto è un altro, è che mi sono stufata di farmi spegnere ogni entusiasmo da chi mi circonda e allora ogni tanto succede che rispondo. E rispondo con un tono di voce secco che viene giudicato aggressivo. Voglio aggredire? Non penso ma ammettiamo pure che voglia aggredire, quello che è certo però è che vorrei che mi lasciassero un po’ in pace e che quello che faccio, penso o dico venisse visto (e giudicato) per quello che faccio, penso o dico. Senza tante seghe mentali. Senza prendere su e fare dei giri per la mia testa. Senza invito per giunta. Ho già dei problemi a capirmi io, ma che cosa sono convinte di capire delle persone che sono più o meno degli estranei?

giovedì 24 novembre 2011

un pensiero dolce

Il signor C fa le pulizie dove lavoro e ci incontriamo spesso la mattina (quando non arrivo al limite dell’orario consentito per timbrare). All’inizio non ci stavamo molto simpatici ma neppure antipatici. Ci si salutava, ci si augurava buona giornata. Se vedevo che nelle stanze era ancora bagnato non ci zompettavo sopra e lui mi lasciava camminare in corridoio per raggiungere lo stipetto anche se era bagnato. Bon, morta lì. Fine dei nostri rapporti. Si potevano definire dei rapporti educati. Poi ha preso confidenza con la mia amica C. (la due C. sono di due nomi diversi), poi anche con me. È un tipo strano, chiama Cessa la sua compagna di lavoro (ma guarda un’altra C) così alla mattina si sente dire: Cessa hai già fatto i bagni? Oppure Cessa dobbiamo andare prendi il tuo carrello. Il signor C. è uno che si prende in giro. L’altro giorno ha passato un dito sugli scaffali della libreria che c’è nello studio e poi ha esclamato: ma chi fa le pulizie da voi, è sporchissimo guarda qua quanta polvere. Una delle cose che gli piace di più è commentare come ci vestiamo, ci fa delle radiografie niente male. Ma senza cattiveria, e poi devo ammettere che ha gusto. E così capita che ogni tanto ci si racconta qualcosa, ogni tanto si legge l’oroscopo della giornata. Quello che c’è su quei giornalini tremendi che ti tirano dietro quando vai in autobus. Domenica scorsa il signor C. ha compiuto cinquant’anni e oggi ci ha portato delle pastine.
Arrivare e trovare le pastine mi han fatto un prù all’anima che metà ne basta. Ancora grazie signor C. è stato realmente un pensiero molto dolce.

mercoledì 23 novembre 2011

così


'sta sera mi sento così. Così come lei o come lui, non so, a guardarlo bene mi sembra più un lui. Solo meno bella di lui o di lei. Però con quella faccia lì, con quell'espressione. Anche con un'orecchia su e una giù a testimoniare una parte di me abbastanza su e un'altra che sta prendendo la via del giùgiù.

(foto trovata sul sito di La Repubblica)

sullo sbattimento dei cani

“ … studiamo a memoria perché siamo dei cani, ma se fai lo sbattone di capire poi è meglio”
(sentito oggi sull’autobus)

martedì 22 novembre 2011

considerazione di mezzanotte

Sono così piena di cose da fare che mi sento vuota. Ma un vuoto così vuoto che non può entrarci niente. Un vuoto pienissimo.
(e dopo questa profondissima considerazione serale posso anche andarmene a dormire)

lunedì 21 novembre 2011

pensierini di oggi in ordine sparso

Cose di oggi, in ordine sparso
- ho sentito “il consiglio di classe è la cosa più inutile dopo il latino”
(sull’autobus c’era una ragazza che leggeva ad un’amica che cosa un’amica comune aveva scritto su FB, da quegli affari lì che anche il mio fidanzato ne ha uno. Ogni tanto sbuffava perché l’amica non metteva le virgole e così lei si incasinava a leggere)
- mi sono accorta che se faccio lavoro di scrivania più o meno impegnativo è inutile che provi a fare anche un esperimento semplicissimo e piccolissimo perché faccio del casino. È inutile, se la testa provo usarla per far lavoro di scrivania non posso usarla per muovere correttamente le braccia quando sono al bancone. Devo rassegnarmi all’evidenza, sarà la vecchiaia che avanza.
- non capisco che cosa passa per la testa di Cato, ‘sta sera mi accolta con una serie di miagolii di disperazione che sembrava che fosse stato abbandonato da mesi al polo nord, senza mangiare e circondato da orsi bianchi.
- le mie orchidee stanno facendo dei fiori nuovi. Dopo colazione faccio il giro dei vasi (visito le miei piantagioni) e loro erano là a salutarmi. Uno è avanti secondo me ce la dovrebbe fare ma ‘sta mattina ne ho visto altri due piccolissimi. È ancora presto per loro ma li ho visti e son contenta.
- andare a pranzo dalla suocera vuol dire spesso tornare a casa con la cena per il giorno dopo più o meno pronta. Se capita la domenica si inizia la settimana senza dover far da mangiare e la cosa raddrizza un po’ il lunedì.

venerdì 18 novembre 2011

Giacomo Lo Schietto

C’è una canzone di Giacomo Lo Schietto, ha già qualche anno ormai, penso sia del 2005. Era tanto che non la sentivo, poi oggi è passata per radio e l'ho risentita. È una canzone triste, quand’era uscita mi piaceva molto e l’ho ascoltata così tante volte che alla fine ho capito le parole (senza cercarle, che se le si cerca son buoni tutti a capirle). È la storia di ‘sti due che si guardano negli occhi in un posto pieno di gente, un metrò, e lei gli sorride e lui perde la testa per lei ma lei sta con un altro e lui deve farsene una ragione ma non ci riesce e allora si mette a cantare. E questo poverino della canzone prova a tirarsi su pensando: abbiamo condiviso un istante che durerà per sempre, però alla fine, proprio le ultime parole della canzone, ha un attimo di cedimento e canta È tempo che affronti la realtà: non starò mai con te. Ecco, è dalle tre del pomeriggio che l’ho in testa e la canticchio tra me e me cambiando pochissimo, il minimo indispensabile. Mi sa che ora è ora che basta.

giovedì 17 novembre 2011

va mica bene

Sono stanca. Sono così stanca che sull’autobus mentre torno a casa mi metto a fare dei solitari. Memorize, l’ho sul telefonino. Anche ‘sta sera, solo che ‘sta sera non so perché la mia memoria funzionava, o forse era solo una serie più facile da ricordare, fatto sta che ero a già a dodici numeri. Mai successo di superare dodici numeri, allora sono stata attentissima. Ne ho fatti tredici. Poi ne ho fatti quattordici. Poi eran quindici e mi sembrava proprio che sarei arrivata a sedici perché il quindicesimo era uguale al quattordicesimo e invece l’autobus ha preso una buca e io ho schiacciato due volte lo stesso numero ma ero solo all’ottavo della serie. Mi sono arrabbiata. Mi sono arrabbiata per uno stupido solitario. Ho fatto il pezzo di strada che mi separava dalla fermata dell’autobus a casa ripetendomi Va mica bene, va mica bene arrabbiarsi per uno stupidissimo solitario.
Son cose che fan pensare.

mercoledì 16 novembre 2011

asap

Io lo che dovrei star zitta, la sento la vocina stridula che mi dice: da che pulpito, ma ti ascolti? Lo so, ma questo non toglie il fatto che mi dà addosso, e non poco. Tanto. Io lo so che se qualcuno passasse in laboratorio e ascoltasse si chiederebbe: ma come parla questa? Ma perché dice: vado in camera sterile a splittare le cellule. Ma perché dice: ‘spettami un attimo, spinno i tubi e poi anch’io posso venire a prendermi un caffè. Non è che non lo so, lo so benissimo. Sono anni che parlo così, sono anni che sento parlare così. Lo so così bene che la settimana che ci sono gli studenti in laboratorio mi sforzo di parlare da cristiana e di usare solo la mia lingua che poi è molto più bella dell’altra. A ben guardare, a star un po’ attenti a quello che si dice e si scrive, c’è anche da dire che l’altra non la so e che dovrei evitare di esprimere dei giudizi su una cosa che non conosco. Non l’ho mai imparata, quello che so lo so a forza di leggere e dalle due volte che ho vissuto per un po’ negli Stati Uniti, ma erano periodi brevi, di qualche mese e poi avevo una volta un capo argentino e con lui parlavamo ognuno la propria lingua e una volta un parmigiano. Va be’ quello che ho imparato parlando con gli altri. Tornando al punto, tenendo presente che tutte queste cose le so, rimane il fatto che a me leggere una mail di un italiano che organizza un incontro e lo chiama brainstorming e che aggiunge che ci manderà il programma asap vien su il nervoso. Asap? Ma asap che cosa? Comunque il suo al più presto possibile non è uguale al mio perché non si sa ancora chi deve parlare e per quanto tempo.

lunedì 14 novembre 2011

gorgonzola e grandine

Nella mia testa ogni tanto si formano delle connessioni che viste da fuori sembrano stranissime ma che viste da dentro (da me che quelle connessioni le ho) sembrano normalissime, spiegabilissime, basta pensarci con calma. Non dico che non capiti a tutti, è più che probabile che sia una cosa che capita a tutti, dico che conosco solo le mie e posso solo sorridere delle mie. Per esempio quando faccio la pasta con il gorgonzola, proprio mentre son lì che mescolo il gorgo con il latte, il burro, il grana, perché se lo lasci solo a se stesso il gorgo si arrabbia e si attacca subito alla pentola tanto per fare un dispetto, mi viene in mente la grandine. La prima volta che mi è successo ci ho messo un po’ a capirmi, ché il collegamento era stato velocissimo e mi ero ritrovata con queste due cose: gorgonzola e grandine, e non mi capivo mica, non capivo come mai il gorgonzola mi aveva fatto pensare alla grandine. Poi ho capito e adesso quando mi succede, e mi succede spesso se faccio la pasta con il gorgo ma anche se faccio gli gnocchi con il gorgo, non mi preoccupo più. Io lo so come fa la mia testa a unire il gorgo con la grandine. Passa per un libro, per una presentazione, per una grandinata improvvisa, e poi arriva a una domanda che non ho mai fatto (e va benissimo così perché è una domanda stupida).

sabato 12 novembre 2011

neanche

22 dicembre: oggi non oso neanche farmi rimproveri. Lanciandoli in questa giornata vacua, darebbero un'eco ributtante.
Diari 1910 Franz Kafka

venerdì 11 novembre 2011

quasi vero

Cato non è un gatto vero, è quasi vero. Quando è arrivato era magrissimo, più della metà del corpo era senza pelo e coperta di croste. A me i gatti piacciono moltissimo ma ho avuto delle difficoltà ad accarezzarlo quando si è finalmente deciso a venir fuori da sotto la dispensa. Chissà quante ne ha passate prima di arrivare nel gattile, prima di arrivare qua. Ora sta bene, è fin bello. Di bello ha anche il carattere, è un gatto dolcissimo, molto affettuoso ma gli mancano ancora quei comportamenti tipici dei gatti. Tipo soffiare se lo stuzzichi. Lo so che posso sembrare stupida ma io spero che un giorno o l’altro mi graffi, per giocare, ma mi graffi. Fino a poco fa non veniva sotto il tavolo a chiedere quello che mangiavamo noi. Magari venire veniva ma se ne stava lì tranquillo. Adesso invece viene e chiede, si mette a miagolare con insistenza, come un gatto vero. È una gioia vederlo lì che miagola. Due giorni fa voleva il pesce spada e se ne è mangiato un pezzetto (con anche il pomodoro), ieri voleva il prosciutto (e ha ricevuto un pezzetto di grasso), ‘sta sera voleva la salsiccia. Però non era tanta, era giusta giusta per noi e così gli ho dato del puré. Si è mangiato il puré. Era un purè di quelli finti, quelli delle buste, ma lo faccio aggiungendoci, burro, brodo vegetale e grana. Se l’è mangiato felice come una Pasqua. È bellissimo avere un gatto quasi vero.

giovedì 10 novembre 2011

mi piace

Mi piace la nuova canzone di Tiziano Ferro. Io non so quante volte l’ho ascoltata ‘sta sera. Son tante però perché adesso la so quasi a memoria. Non avevo mai detto che mi piacciono le canzoni di Tiziano Ferro? Mi piacciono, ora l’ho detto. C’è qualcuno che storce il naso? Sicuramente, almeno una persona che storce il naso c’è ma lei lo sa già. Pace, non abbiamo tutti gli stessi gusti. Per fortuna mi vien da dire, pensa che casino sarebbe se avessimo tutti gli stessi gusti. Rimane sempre il fatto che a me piacciono, e dal momento che non ho problemi a dirlo (va be' qua è scriverlo ma non stiamo a fare le pignole che non è il caso) lo dico: mi piacciono. Non tutte, quasi tutte. E ‘sta sera mi sono cercata il sito, mi sono trovata il video della canzone e mi sono messa ad ascoltarla. Poi finiva e schiacciavo la freccettina del via e la riascoltavo, poi finiva e il la rischiacciavo. Poi me ascoltavo altre, poi mi dicevo: ‘spetta che la risento e tornavo a La differenza tra me e te. E adesso ho nella testa: La differenza tra me e te / Tu come stai? Bene. Io come sto? Boh! / Me e te / Uno sorride di com’è, l’atro piange cosa non è / E penso sia un errore.

Adesso voglio proprio vedere cosa sognerò, spero di ricordarmelo domani mattina.


E adesso, proprio ora ora, mi è venuto in mente che da ragazzina mi facevo le cassette con una sola canzone ripetuta per tutto il lato, così poi la mettevo quando facevo i compiti e non mi toccava tornare indietro per cercare il punto giusto per riascoltarla. Un'era fa, l'era prima del Repeat.

mercoledì 9 novembre 2011

un grazie


da quando l'ho portato in casa lui mi ringrazia così, e a me il suo modo di ringraziarmi piace molto.

martedì 8 novembre 2011

lunedì 7 novembre 2011

ti accompagnano a casa anche se devi andare al supermercato

‘Sta sera mi sono ascoltata l’intervista che Massimo Vitali che ha fatto per Fahrenheit. Ho letto Se son rose e L’amore non si dice, mi sono piaciuti, ero curiosa. Ho dovuto aspettare lunedì, è sempre così per le interviste del venerdì. A un certo punto, parlando di Achille Campanile, dei dialoghi di Achille Campanile ha detto: “era in grado di scrivere con una leggerezza tale che tu quando leggevi anche se eri tipo come Riversi, abbastanza in carne, ti sentivi comunque leggero. Achille Campanile era in grado di far dialogare due personaggi che apparentemente tra di loro non hanno assolutamente nulla in comune e sono agli antipodi ma lui lo metteva giù come se fosse la cosa più naturale del mondo quindi sono questi dialoghi che veramente ti accompagnano a casa anche se devi andare al supermercato; questa frase non l’ho capita neanche io però penso che abbia un senso.”
Io non so se è successo anche agli altri ascoltatori ma a me, adesso, dopo aver sentito questa intervista, Massimo Vitali sta molto simpatico.

domenica 6 novembre 2011

consigli di una mamma alla figlia diventata mamma

“Il segreto è nella lettura e nella scrittura. Tu sai leggere. Ogni giorno dovrai leggere una pagina di un buon libro a tua figlia. Ogni giorno finché la bambina non saprà leggere da sola. Poi lei dovrà continuare a leggere ogni giorno. Questo è il segreto.”


“E devi raccontare a tua figlia le leggende che ti ho raccontato così come mia madre le ha raccontate a me e sua madre a lei. Devi raccontarle le favole del nostro vecchio paese. Le racconterai di quegli esseri che pur non essendo di questo mondo vivono per sempre nei cuori del popolo: le fate, gli elfi, i nani. Le parlerai degli spiriti che ci sono nel paese di tuo padre e del sortilegio che la strega fece a una delle tue zie. /…/ E tua figlia deve credere in Dio e in Gesù Suo unico figlio. /../ E non dimenticare la Befana. La bambina deve crederci fino all’età di sei anni.”


“La bambina deve possedere quella cosa così preziosa che è l’immaginazione. Il bambino deve avere il suo mondo segreto dove vivono e si muovono le cose che non esistono. È necessario che creda e che cominci col credere in cose che non esistono al mondo. Così quando il mondo diviene tropo brutto per poterci vivere il bambino può rintanarsi nel mondo della sua immaginazione.”


“È bene imparare da soli la verità. Anche il credere dapprima con tutto il cuore e poi non credere più è un bene. Così le nostre emozioni si maturano ed aumentano. Quando la bambina sarà una donna, quando la gente e la vita le daranno delle disillusioni, allora sarà già abituata a riceverle e le sembrerà meno duro. Educando tua figlia non dimenticare che anche la sofferenza è una buona cosa, in quanto arricchisce il carattere.”

Un albero cresce a Brooklyn - Betty Smith – pag. 91,92 e 93

venerdì 4 novembre 2011

dei muri d'acqua

Dei muri d’acqua, non si riusciva a vedere il palazzo di fronte. Acqua, acqua e ancora acqua. Poi per fortuna ha smesso. E adesso ogni scroscio che arriva lo si ascolta stando molto attenti. E adesso si spera che si sbaglino, che ‘sta notte non piova, che domani non piova.

giovedì 3 novembre 2011

l'inizio del prologo

Il testo vero, l’originale
El ghe n'è assé, che sempre mé se smaravegia d'i fati d'altri; a' dighe mo, che çerca de saere e intendere zò che fa i suò vesini; e sì farae megio tal fiè a guardarse igi. Perché mi cherzo che la sipie cossì vo a' ve digo: che chi vuò vêre i fati d'altri, n'ha da far d'i suò; e se i ghe ha da fare, i n'i fa.

Il testo che andrà in scena, adattato per noi
El ghe né tanti che sempre i se smeravegia dei fati dei altri, che cerca de saver e intendere quel che fa i suoi vicini, e si farae megio a guardarse lori. Perché mi a credo che la sipia cossì com’a ve digo: che chi vuol védere i fati dei altri, non ha da far dei suoi; e se li deve fare, non li fa.

(che potrebbe essere
Ce ne sono tanti che si meravigliano sempre dei fatti degli altri; voglio dire che cercano di venire a sapere ciò che fanno i loro vicini, mentre farebbero meglio a volte a pensare a se stessi. Perché io credo che sia così come vi dico: che quelli che vogliono conoscere i fatti altrui, non sanno farsi i propri; e se li sanno fare, non li fanno.)

Quest’anno mi sono regalata l’abbonamento a teatro. Otto spettacoli a posto libero (scelgo più o meno quello che voglio del cartellone, è libero il posto, ho preso platea, e è libero il giorno della settimana). Magari non capirò niente ma mi sa che mi prendo un biglietto per andare a vedere Moscheta. L’inizio del prologo promette bene.

mercoledì 2 novembre 2011

sperando che non si sia già seccato …

Non ha senso mettersi a scrivere un post se si è così stanchi che non viene in mente mezza idea. Sarebbe meglio far passare la giornata senza post. Sarebbe più onesto. Invece che star qua a pensare che post scrivere con un caffè in mano potrei andare avanti a leggere il libro che ho iniziato ieri, Un albero cresce a Brooklyn s’intitola. È un Medusa. La copertina dei libri di quella collana l’ho sempre trovata bella, mi piace molto il disegnino di quella testa di donna (con le orecchie del signor Spock e i capelli a serpentelli), i colori. Voltandolo non vedo il prezzo, è stato grattato via, si vede scritto Lire e poi manca del verde, dove c’era il prezzo, sotto Lire c’è scritto prezzo netto e sotto ancora, scritto più piccolo, in tutta Italia.
C’è una dedica in prima pagina, c’è scritto in corsivo, con una scrittura che ricorda quella di mia nonna ma non lo è, sperando che non si sia già seccato … e poi la firma e poi la data: 29-11-50. Devo ricordarmi di chiedere a mia mamma se sa chi è la lei che ha regalato quel libro a mia nonna.
Va be’, ho finito il caffè e più o meno scritto qualcosa che assomiglia a un post. Vado a farmi raccontare da Betty Smith come va avanti quella storia e, dato che vado da quelle parti, bagnerò un po’ l’albero. Non si sa mai, mi spiacerebbe che si seccasse proprio adesso.

martedì 1 novembre 2011

pochissima

Qualche giorno fa il mio capo (che poi è una capa) mi ha fatto la delega per andare alla riunione di dipartimento al suo posto. Son stata là, attenta, per poco più di due ore. Ero sicura che non mi avrebbe mai chiesto che cosa avevano detto (e infatti è stato così) ma pensavo: dal momento che non posso fare quel che voglio tanto vale che provi ad ascoltare. Ecco, se dovessi fare un riassunto breve di quello che ho sentito direi che il punto importante, quello dal quale dipende tutto quello che si è discusso, è: quanta fiducia abbiamo nell’altro? Siam sempre lì, qualsiasi gruppo sociale si prenda in esame torniamo sempre alla stessa domanda. Hai fiducia o non hai fiducia? Più invecchio più penso che da lì dipenda tutto. Dipende la libertà concessa, dipende come organizzare il controllo della situazione. Hai fiducia? Allora va bene una struttura “flat”. Non hai fiducia? Allora via di piramidi. È così per il personale, è così per i finanziamenti, è così per gli strumenti da condividere o meno.

Oggi mi chiedevo se io ho fiducia nel prossimo. Sono altalenante direi ma mi sa che in questo periodo ne ho pochissima.