Tagliare, bisogna tagliare ma di brutto e riuscire a dire più o meno le stesse cose. Facile dirselo, da fare è un po’ meno. Ma ho controllato col il timer che uso per cucinare, bisogna far saltar via quasi dieci minuti. Peccato che abbiano cambiato il programma, prima avevo un’ora a disposizione, ci sarei stata. Ora son quarantacinque minuti, non ci sto, posso mica far finta di non aver visto che sul programma definitivo han cambiato. Poi a me le persone che non rispettano il tempo che è stato dato loro stan mica tanto simpatiche, magari anche agli altri. Meglio non rischiare, si taglia. Son tanti dieci minuti. Non in assoluto. Dieci minuti possono essere anche pochissimi. Dipende. Se penso che dove tagliare dieci minuti non mi vengono in mente dei punti furbi. Spero che il caffé di dopo pranzo svegli Unico (che è il mio neurone e dal momento che è rimasto solo soletto io gli ho dato un nome). Unico fa un po’ quello che vuole ma non posso cercare di farlo ragionare che se si arrabbia e mi pianta in asso son problemi (chissà poi perché si dice piantar in asso, se mi ricordo dopo lo cerco). Lui fa quello che gli pare, dicevo, e adesso invece di aiutarmi a risolvere questo problema, che è piccolo ma è pur sempre un problema, mi manda un ricordo. Mia mamma, quando ancora vivevamo insieme, quando telefonava a mia zia si metteva sempre su una poltrona che c’era in ingresso vicino al telefono (non c’erano ancora i telefoni senza il filo), si metteva comoda e mi diceva: sai com’è Latte se poi attacca a raccontare qualcosa ci mette una vita, è più lunga del Passio. Ecco mi sa che la mia presentazione, messa giù così come è ora, se la gioca in lunghezza con il vangelo della Passione.
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