Ieri sera, saran state le undici e mezza, minuto più minuto meno, son tornata a casa. Son stati sei giorni molto belli. Ho imparato un po’ di cose, ho vinto abbastanza bene la mia lotta con le macchie sul collo e Stoccolma mi è piaciuta molto. Lo svedese è una lingua strana, se la senti non capisci niente, neppure se quel suono è un verbo o un nome, se la vedi scritta va già un po’ meglio, alcune parole ricordano quelle tedesche. C’è una lettera bellissima, è una a con un cerchiolino sopra si legge o, non proprio o, più un suono che ricorda la o tedesca con la dieresi.
Il congresso era in un posto perso nel nulla, bello, silenzioso, in mezzo al verde, c’era anche un lago e miriadi di zanzare che erano lì a passare le vacanze, molto contente dell’arrivo dei congressisti. Un posto realmente perso nel nulla, non perso nel nulla per modo di dire, il tassista non riusciva al trovarlo nonostante il GPS acceso. Dopo un po’ che giravamo nella campagna ha chiesto a due persone che passavano di là con un cane. Meno male che le abbiamo trovate quelle due anime.
La stanza dove ci trovavamo sembrava un aula grande. Con i banchi da quattro posti, sedie dure ma comode e un bello spazio per appoggiare il libro degli abstract (non son sicura ma mi sembra che se si scrive in italiano il plurale delle parole inglesi non si metta, boh facciam che sia così e andiamo avanti) e avanzava anche spazio per il quaderno degli appunti. L’aria scuola ci portava a ritornare ogni giorno allo stesso posto. Io son finita per caso tra due che stimo moltissimo. Ho messo lì la mia roba prima di andare a fare colazione che se finisco lontana poi mi distraggo e mi metto a pensare ad altro. Ero fin imbarazzata lì nel banchetto in quarta fila con JT a sinistra e PP a destra che son ventenni o forse più che leggo i loro articoli. Speriamo che per osmosi mi sia arrivata un po’ della loro testa. Era un congresso molto democratico, tutti quelli che parlavano avevano a disposizione un quarto d’ora di tempo (totale, spazio per domande incluso).
È stato un bene essere al secondo giorno, di mattina (così non mi sono rovinata il pranzo). E poi ho potuto vedere come funzionavano le cose. Avevamo i microfoni stile Madonna, quando ho visto quella roba lì ho pensato: andiam bene, andiamo proprio bene. Il giorno dopo ho optato per la coda di cavallo (e così dietro lo passavo facilmente, senza star lì a spostare capelli) e per un paio di pantaloni (che permettevano di agganciare la scatolina senza tenerla in mano, lasciando così una mano per il puntatore e l’altra per far andare avanti le diapositive con la freccetta del computer. Alle domande sono riuscita a rispondere, era la cosa che più mi preoccupava. Una me la sono fatta ripetere che non avevo mica capito che cosa mi aveva chiesto e nella risposta ho preso la cosa un po’ da lontano. Tornata a posto mi è venuta in mente una risposta un po’ più diretta, ma comunque direi che me la sono cavata abbastanza bene.