Mi han sempre detto: coi quaranta vedrai, poi a me tra i trentanove e i quaranta non mi sembra che sia successo chissà che. È dopo che succede, altro ché a quaranta. Prima lento lento, una ruga qua, una là. Un non-ricordo qua e non-ricordo là. Una giornata che ti senti stanchissima senza apparente motivo qua, e un’altra là. Poi d’improvviso succede che metà delle giornate ti senti senza forze, non hai neppure quelle minime indispensabili, quelle che servono per lavarsi i capelli o mettere su la pentola per cuocer la pasta; cose così che hai sempre fatto senza neppure accorgerti. E poi, ancora dopo, succede che al lavoro, per star concentrata che si deve incastrare tutto in modo di non uscire a orari indecenti, fai fatica e poi non ti basta più l’agenda, devi iniziare anche a pensare da che cosa iniziare e non solo, devi anche dirti (mentalmente se ci riesci, se no ad alta voce) che cosa stai facendo. E poi, ancora dopo, alla fine della giornata saluti batteri, cellule e computer con: A domani. Quando arrivi lì, a quel punto, e poi entri a casa e dici: ciao Cato, aspetta qua che vado a farmi la doccia, poi metto su l’acqua e torno, giochiamo un po’, poi butto la pasta che così quando torna da yoga mangiamo. E lo guardi bello spalmato sul letto che ti fa le fuse e aggiungi: Senti Cato e se ce ne andassimo a dormire ora noi due? Quando arrivi lì a me sembra che quello, cioè questo, non sia mica un gran bel segno. Non voglio pensare che cosa mi aspetterà andando avanti. Magari poi ci si assesta. Speriamo.
(però la doccia l’ho fatta, e la cena, beh chiamarla cena è un po’ esagerato: finocchi crudi e ricotta, il minimo sindacabile :D)
Giuseppe Verdi
6 ore fa
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