Entrando nella sala mica avevo capito subito di cosa erano fatte.
mercoledì 31 luglio 2013
3 - tonnellate
Io ieri il Giardino delle Vergini l’ho cercavo perché oggi
volevo andare a sentire Marco Paolini e conoscendomi, pensando che l’incontro
iniziava alle 11 del mattino, ho preferito andare in avanscoperta e ho fatto
bene dal momento che la prima volta sono andata all’uscita invece che
all’entrata. E oggi ero là, seduta su una specie di cuscino di fieno, a
sentirlo e vederlo, e intorno a noi c’erano le cicale che non hanno smesso un
momento di parlare, non so se tra loro o con lui, e ci stavano bene. E la
sensazione, sarà che era uno spazio piccolo e non eravamo in tanti, la
sensazione era quella di esser lì come se ci conoscessimo tutti, come se ci
fossimo incontrati per caso e invece che incontrarci in un bar o in piazza
fossimo in un campo. Sentirlo ragionare e vederlo ragionare, perché non era
(ancora?) tutto ben organizzato come un suo spettacolo, c’erano, almeno a me è
sembrato, come dei salti e dei vuoti ancora da sistemare aumentava la
sensazione del ragionamento ad alta voce. E anche se poi oggi ho visto tante
altre cose, e alcune mi sono piaciute molto, appena lascio la testa andare per
i fatti suoi vedo che torna a quello che ci ha raccontato. Non so spiegarlo,
però mi vien da dire che se la stima avesse come unità di misura i pesi allora
io son sulle tonnellate di stima per quel uomo.
lunedì 29 luglio 2013
2 - un vizio
Non c’è niente da fare, io il vizio di guadare
nelle case degli altri ce l’ho. E quando sono in vacanza la cosa si accentua. Se
è una giornata normale mi capita di guardar nelle case degli altri ma spesso
son lì che penso a che cosa devo fare, a che cosa ho fatto. Per esempio se sto
tornando a casa mi capita di pensare a che cosa ho combinato in laboratorio o a
che cosa posso preparare per cena e questi pensieri un po’ mi tengon lontana
dal guardare nelle case altrui. Se sono in vacanza non mi capita e così mi
ritrovo che mi sto facendo una riga di fatti non miei. Questa mattina cercavo
di capire come arrivare al Giardino delle Vergini, prima di uscire mi son
guardata la cartina perché l’unica cosa che avevo capito guardando l’indirizzo
era che dovevo cercarlo a Castello, un po’ poco ristringere il campo a un intero
sestiere. Poi sono uscita, senza cartina che bisogna esercitare la memoria a
una certa età, e l’ho cercato. L’ho trovato ma quella era l’uscita, c’era
proprio scritto Uscita e c’era anche tanto di catena alla porta. Tornando sui
miei passi e cercando di ricordarmi la cartina per provare a cercare l’entrata, che qua tra acqua e ponti una non può dirsi Adesso ci giro intorno fino a che trovo il cancello d'entrata,
ho visto in una casa una gatta bellissima.
domenica 28 luglio 2013
1 - una sensazione di star bene
Io quando sono qua, proprio da quando metto il
naso fuori dalla stazione, sento che mi arriva addosso una sensazione di star
bene che mi rende contenta e anche se sono un po’ boccheggiante, perché ieri
pomeriggio e oggi c’è stato proprio un bel caldone umidone, a me vengono dei
pensieri ottimisti e mi abbandona quell'altra sensazione, quella di fastidio e pessimismo. Adesso ad esempio
vien da dire Che bello, ci sono solo 31 gradi, ‘sta sera dormo fresca. Devo
solo convincere della cosa anche le mie caviglie perché loro non sembrano
pensarla proprio così. Spero di farcela, domani le vorrei pimpanti e collaborative.
venerdì 26 luglio 2013
0 - un inizio
La sera prima di partire per le vacanze,
quando sono sul divano a pensare che cosa mettere in valigia, ha qualcosa di
magico. Ho la sensazione di avere ancora tutto davanti, tutto da decidere,
tutto da inventare, da immaginare. Una sensazione che già domani sarà diversa
perché domani sarò in viaggio e poi, quando arriverò ci sarà già il viaggio che
saprò come sarà andato, saprò chi saranno stati i miei vicini di treno, se avrò
avuto il tempo di prendere la coincidenza tranquillamente o se avrò fatto una corsa,
saprò se arrivata troverò il caldo umido che il sito meteo mi ha detto esser lì
ad aspettarmi, saprò se aspetterò il vaporetto o se passerà subito, se deciderò
di prendere l’1 e farmi il Canal Grande lentamente o se prenderò l’accelerato,
se ci sarà tanta gente, se dalla stazione a San Marco saranno più quelli che
salgono che quelli che scendono. Ma adesso no, adesso non so niente, è ancora tutto
lì davanti, intonso. E adesso vado a fare la valigia e in qualche misura anche quello,
quello che ci metterò dentro, le scarpe che sceglierò e che mi porteranno in
giro, i libri che mi terranno compagnia, le cose che scorderò, e ce ne saranno,
anche quello sarà un inizio.
mercoledì 24 luglio 2013
giochi
A Morrarello piace giocare con le ciliegie. Le
arpiona, con le unghie, le toglie dalla ciotola che è a tavola e poi le caccia
per tutta la casa. Al sabato le ritrovo, in stato avanzato di putrefazione,
sotto il letto, sotto il divano o sotto la libreria. Mi sono un po’ preoccupata
della cosa, non vorrei che dei parenti di Gregor Samsa decidessero di
traslocare qua. Da una settimana siamo passati a un gioco nuovo e, forse, un
po’ meno invitante per i blattoidei. La caccia ai noccioli delle albicocche (in
questi giorni facilmente recuperabili nei piatti della cena). Devo dire che questo
gioco piace anche a me. Quando vedevo una ciliegia in giro la prendevo e la
buttavo. Se vedo un nocciolo di albicocca in giro chiamo Mozzarello e poi lo
calcio. Lui va avanti a giocare per una mezz’ora buona poi stramazza, si distende
sul marmo cercando la corrente e mi guarda come se mi volesse incolpare di
tutto quello sforzo. ‘Sta sera mi è venuto in mente che mia nonna, la mamma di
mia mamma, quando ero piccola mi aveva insegnato un gioco. Si butta in aria un
nocciolo di pesca, si battevano le mani dicendo Uno e lo si riprendeva. Poi lo
si ributtava in aria, si battevano le mani due volte dicendo Due e lo si riprendeva.
E via andare fino a ché non si sbagliava. Ci abbiamo giocato sia io che mia
sorella a quel gioco.
sabato 20 luglio 2013
secondo me
Secondo me quando dandosi la crema si formano
dei pallini di pelle morta può vuol dire che ci si è dimenticati di darsela per
troppo tempo.
Secondo me quando ci si decide a farsi gli
occhiali e ti dicono che per mercoledì son pronti e sabato non sanno spiegarti
perché non li hanno e neppure che fine hanno fatto, a rimanerci male e non saper
che cosa rispondere è una cosa comprensibile.
Secondo me a stendere il bucato fuori, doverlo
ritirare dopo poco perché inizia a piovere, stenderlo dentro sullo stendino e
veder spuntare il sole dopo neppure un’ora vien da guardare il cielo e dire Va
bene tutto, ma mi fai sapere che cosa hai deciso?
giovedì 18 luglio 2013
qualcosa che uno abbia la speranza di arrivarci
Io credo che gli uomini siano fatti come i
gatti , //. Se non sanno che cosa fare, se non hanno topi da prendere, si
graffiano tra di loro, scappano sui tetti, oppure si arrampicano sugli alberi e
magari poi gnaulano perché non sono più buoni a scendere. Io credo proprio che
per vivere contenti bisogna per forza avere qualcosa da fare, ma che non sia
troppo facile; oppure qualcosa da desiderare, ma non un desiderio così per
aria, qualcosa che uno abbia la speranza di arrivarci.
La chiave a stella – Primo Levi - pag. 146
consistent
Io lo so, sono una bestia, sbaglio mille cose,
mi esprimo male, scrivo malissimo e quindi dovrei star zitta ma a me,
nonostante tutti i miei limiti, e son tanti eh, a me quando leggo Il fenotipo è
consitente con il genotipo mi si blocca la digestione. Io non dovrei leggere
mail di lavoro subito dopo aver mangiato perché quando leggo ‘sti ibridi mi
vien il nervoso, mi vien da dire No, consistente vuol dire altro. Vuoi metterlo
in inglese? mettilo in inglese, vuoi scrivere in italiano? scrivi in italiano.
Poi mi vien da pensare che oggi ho detto La cuvetta si deve lavare subito dopo
aver letto il campione perché il DNA è sticky e mi vergogno del mio pensiero.
Ma poi, subito dopo, mi dico che orrendo era orrendo ma meno peggio di
consistente usato così.
Adesso No
Questa mattina sull’autobus ho conosciuto una
bambina di tre anni che si chiama Adesso No. Non ho capito benissimo se il nome
è Adesso e il cognome No o se il nome è No e il suo cognome è Adesso. Era
seduta davanti a me con sua nonna, o meglio sua nonna voleva che lei stesse seduta ma
lei non ne aveva nessuna voglia. Adesso no, continuava a dire. Al terzo calcio
e al secondo mi scusi della nonna che poverina non sapevo che cosa fare per
sedarla ho deciso di smettere di provare a leggere e le ho chiesto come si
chiamava. No, mi ha risposto. Ma che strano nome ti ha dato la tua mamma, mai
conosciuto una bambina No, le ho risposto. Adesso No, ha continuato. E a me veniva da ridere,
così poi ci siamo messe a parlare. Abbiamo giocato prima a cercare che cosa
c’era disegnato sulla copertina di La chiave a stella, che a detta sua non è un
bel libro perché non ha figure. Io e sua nonna la pensavamo diversamente ma
anche se eravamo in due eravamo in minoranza, poi con il mio portachiavi
che ha una tartaruga e un gattino attaccati. La tartaruga, che oltre ad essere
colorata, suona, basta schiacciarle la schiena, era decisamente più
interessante, l’abbiamo fatta camminare sotto il finestrino. Si è fatta dalle
gran passeggiate, da lei a me e ritorno. Quando siamo scese, per fortuna alla
stessa fermata, le ho chiesto Me la ridai? Sì, ha detto.
martedì 16 luglio 2013
la settimana di quattro giorni
Questa è la settimana
degli studenti, che poi non è una settimana che la settimana ha sette giorni e
non è neppure una settimana lavorativa intera perché io le ore che devo fare le
metto tutte in quattro giorni. Vien meglio a me, vien meglio a loro. Forse
sarebbe carino invertire l’ordine ma non sarebbe corretto, sarebbe gentile ma
non corretto, son io che lo propongo e, per ora, nessun gruppo ha mai detto di
no. Questi sono i quattro giorni degli studenti dovrei dire, ma mi suona strano,
lascio settimana. Ormai metà del lavoro è fatto, lunedì e martedì sono già
andati, ho davanti ancora domani e giovedì. A me la settimana degli studenti
sembra di lavorare doppio. Arrivo a sera che son stanchissima, un po’ che devo
fare e spiegare insieme, un po’ che mi preoccupo di non far vedere loro le stesse
cose durante quei giorni, un po’ che se non finisco (e non finisco mai) quello
che avevo in programma poi devo andare avanti anche dopo che loro sono andati,
un po’ che quando loro escono ho ancora tutto da pulire, da mettere a posto, da
preparare per il giorno dopo, e poi con loro i nomi son tutti tramutati in
numeri e quindi quando loro vanno devo cambiar tutte le etichette per non
incasinarmi. Però mi diverto anche, questi sei hanno voglia di fare e capire.
Spiegare se qualcuno ascolta non è brutto, anzi. Lunedì avevo come paura che
non mi venissero le cose, di fare esperimenti che poi non venivano. Che fugura
faccio se poi non viene? mi chiedevo. Poi mi son calmata. Ma dimmi te se devo
farmi venire l’agito, anche se un agito piccino, mi dicevo. Poi è andata
meglio. Più passano gli anni più li vedo piccoli, gli studenti del secondo
anno. É normale, son io che invecchio, però è proprio così, quando li vedo arrivare non mi vien da
pensare Che giovani, mi vien proprio da pensare Che
piccoli che sono. Hanno ancora tutti i loro sogni, hannno il pacchetto sogni lì davanti, ancora integro. E secondo me, lo so
che è un po’ un discorso da vecchi, ma a me fa bene star per quattro giorni in
compagnia di chi ha quel pacchetto ancora con la carta da regalo integra
e il fiocco sopra. Magari anche due ricci di nastrino di quelli che si fanno
con la lama della forbice, quelli che solo a vederli fan festa.
domenica 14 luglio 2013
profumi
Il profumo che rimane sulle dita quando
spezzo le punte dei fagiolini, a me, sa di primavera. Il profumo che rimane
sulle dita quanto spello i peperoni abbrustoliti invece sa d’inverno. Son due
profumi che mi piacciono molto ma se si vogliono sentire nello stesso pomeriggio
bisogna partire dai fagiolini.
sabato 13 luglio 2013
-14
Oggi mi sono svegliata mettendo giù il piede
giusto. Ho fatto colazione con calma, mi sono restaurata, sono andata al
mercato, a ritirare le tracolla delle borse alle quali ho fatto cambiare i
moschettoni, il quadro che avevo portato sabato scorso e che ora ha di nuovo un vetro. E adesso, dopo aver
mangiato carpaccio e bevuto del buon vino, mentre aspetto che venga su il caffè,
mi è venuto in mente che io, tra due sabati, molto probabilmente più o meno a
quest’ora, sarò appena arrivata in quella che per me è la città più bella del
mondo. E sarà anche tecnicamente sbagliato dire che per me è la città più bella del
mondo che io ne ho viste poche e quindi non è giusto dire una cosa del genere, è
senza senso, ma non me ne importa nulla, lo dico e lo scrivo lo stesso.
venerdì 12 luglio 2013
l'arte dell'ascoltare
Infatti, come c’è un’arte
di raccontare, solidamente codificata attraverso mille prove ed errori, così c’è
un’arte dell’ascoltare, altrettanto antica e nobile, a cui tuttavia, che io
sappia, non è mai stata data norma. Eppure, ogni narratore sa per esperienza
che ad ogni narrazione l’ascoltatore apporta un contributo decisivo: un
pubblico distratto od ostile snerva qualsiasi conferenza o lezione, un pubblico
amico la conforta; ma anche l’ascoltatore singolo porta una quota di
responsabilità per quell’opera d’arte che è ogni narrazione: se ne accorge per
bene chi racconta al telefono, e si raggela, perché gli mancano le reazioni
visibili dell’ascoltatore, che in questo caso è ridotto a manifestare il suo
eventuale interesse con qualche monosillabo o grugnito saltuario.
La chiave a stella – Primo
Levi – pagg. 33-34
giovedì 11 luglio 2013
solitudine brutta
Ieri è stato un giorno di
solitudine brutta. Io sola ci son sempre stata bene non ho mai avuto problemi
con la solitudine, mai pensato Adesso cosa faccio? Chi chiamo? Chi vedo? No,
pugno Adesso cosa faccio l’ho pensato tante volte ma non nel senso di non sapere
come occupare del tempo stando con me stessa. Le vacanze, per esempio, da
qualche anno le faccio quasi tutte da sola e ci sto proprio bene con me stessa.
Vedo che mi serve. Però non è da leggere che non sto bene con gli altri, no, no
in quel senso che con alcuni altri io ci sto benissimo. Mi sto incartando.
Pace. Ieri più di altri giorni mi mancava una persona e avrei fatto qualsiasi
cosa per non sentire quella solitudine brutta. E così di cose ne ho provate e, a
ripensarci oggi con calma, alcune era veramente poco probabile che sarebbero servite
a sentire meno quella solitudine, però una ha funzionato e per poco, per poco
meno di un’ora, io in chiesa ci son stata bene. E adesso non so se esserne
contenta o preoccuparmi. Più esserne contenta penso.
martedì 9 luglio 2013
KIR(s)
Io oggi mentre bevevo per la prima volta un
KIR ho avuto un pensiero profondo, uno di quei pensieri così profondi che non
capita mica tutti i giorni di averne uno del genere. Ho pensato che io ai KIR, intesi come Killer Ig-like Receptor, ci voglio bene, mi stan simpatici, anche il
loro polimorfismo mi sta simpatico, fin da quando li ho
visti nascere e adesso son anni che ci teniamo compagnia, però anche i KIR che ho
scoperto oggi, quelli a base di cassis e vino bianco, mi stan simpatici, van un
po’ in testa ma mi stan simpatici (o forse mi stan simpatici perché vanno in
testa).
lunedì 8 luglio 2013
Mozzarello (versione feroce carnivoro)
Questa sera ho messo
su le zucchine, un chilo che dovevan bastare per cena e per il gavetto di
domani, ho tirato fuori l’hamburger dal frigo, una perché Daniele continua a
non voler mangiare carne, e me ne sono andata in salotto. Dopo pochi minuti
sono tornata in cucina per mescolare le zucchine e sul piano ho trovato un
feroce felino che aveva tolto la cartina trasparente che mettono i macellai
quando pestano la macinata per far l’hamburger, quella cartina circolare che
mettono sia sopra che sotto prima di metterla in quella macchinetta che poi dà
la forma, e ne aveva mangiato un angolino. Ma cosa fai? gli ho urlato. Lui è
saltato giù dal piano e poi tranquillissimo mi ha guardato leccandosi i baffi. Sembrava
mi dicesse Il gatto, ma che domande fai ‘sta sera? E a me veniva da ridere. Non
l’ho più sgridato, gli ho dato due grattini. E mente gli grattavo sotto il
mento pensavo Sarei stata una pessima mamma.
sabato 6 luglio 2013
un post (troppo) lungo
Ci son dei mestieri che sono abituata a veder
degli uomini che li fanno e così, quando mi trovo davanti una donna, mi
meraviglio. E poi, subito dopo, appena mi accorgo che mi son meravigliata, mi
meraviglio di essermi meravigliata. Quando succede, se mi son trovata bene, ci
ritorno, un po’ è per solidarietà femminile un po’ è per imparare a non
meravigliarmi. Così adesso ho una corniciaia di fiducia e una calzolaia di
fiducia. Oggi sono andata da tutte e due, son uscita di casa con un quadro e
due borse. Al quadro mancava il vetro, si era rotto. Una notte abbiam sentito
un rumore fortissimo di vetri rotti. Stavam dormendo, io mi sono spaventata,
pensavo che fosse entrato in casa qualcuno e invece era venuto giù un quadro.
Così questo pomeriggio ho telefonato alla corniciaia per vedere se era aperta,
era aperta, le ho chiesto se potevo portarle un quadro che aveva il vetro da
sostituire e lei mi ha detto che andava bene, lo faceva. E mi ha anche detto
Stia attenta a non tagliarsi, non stia a togliere i vetri, lo fasci e me lo
porti. È stata gentile, i vetri però li aveva già tolti Daniele, avendo un
gatto che gira per casa quella notte abbiam tolto il grosso e ci abbiamo
buttato su una coperta, poi, il giorno dopo, lui ha tolto tutto per bene e mi
ha fatto la sorpresa, tornata a casa dal lavoro non c’erano più i vetri. La
prima volta che sono entrata in quel negozio avevo una foto di mia nonna, in
quella foto mia nonna teneva in braccio la sua gatta, volevo incorniciarla e
appenderla in corridoio, quando si era segnata sul quaderno un modo per ricordarsi cosa
era da collegare al mio acconto mi aveva chiesto Come si chiamava il gatto di sua
nonna? Nannis, le avevo risposto, era una gatta e lei aveva scritto il mio cognome e
poi Nannis. È così che è diventata la mia cornicia di riferimento. Poi, dopo la
corniciaia, son passata dalla calzolaia. Cosa posso fare per lei? mi ha chiesto
appena entrata. Buongiorno, le ho risposto, ho due borse con la stessa
malattia. Hanno il moschettone rotto. Allora lei le ha guardate e ha aperto un
cassetto pieno di mollettoni, abbiamo scelto quelli nuovi. Poi lei mi ha detto
Questa borsa è bella, questa eh. Ha ragione, le ho risposto, ma non capivo cosa
voleva dirmi. Poi ho capito. Ho capito perché lei, vedendo che non capivo me
l’ha detto Io, dal momento che i moschettoni identici a quelli originali non ci
sono, cambierei tutti e due i moschettoni alla borsa bella e solo quello rotto
a questa. Che poi poverina, non è che sia brutta ma la differenza tra la pelle
e l’ecopelle c’è, c’è poco da dire e infatti quella che lei ha chiamato bella
l’ho da quindici anni almeno, e fa ancora la sua figura, mentre l’altra l’ho da
tre anni e, insomma, diciamo che si difende. Si è tenuta solo le tracolle, le
ha messe dentro un sacchettino di carta, ci ha segnato sopra il mio cognome e quando
sono uscita mi ha detto Buona domenica e grazie per il lavoro.
una proposta
Vorrei fare un appello: Aboliamo l’aggettivo
Performante. Però a pensarci con calma, che anche solo a scrivere una cosa del
genere mi son resa conto che forse è meglio cancellare, mi vergogno un
po’ di essere così categorica. Tolgo l’appello, e l’abolizione
collegata, e faccio una proposta Facciamo che se uno vuole proprio dire
Performante poi paga una multa, anche simbolica eh, che lo so che non è un bel
periodo, una multina. Vuoi proprio usare Performante? Allora se lì vicino c’è
qualcuno che Performante proprio non lo regge, una persona che se sente dire Performante di colpo alza gli occhi al cielo, le/gli dai, che ne so, dieci
centesimi e la persona che si sente come molestata dall’ascolto di quella
parola poi decide che cosa farne (ma non li può tenere per sé). Forse è meglio
che mi beva un caffè e svegli Unico invece di far proposte del genere.
giovedì 4 luglio 2013
nuvole e principi
Sono arrivate, han
banchettato e adesso io, immersa in una nuvola di ammoniaca, sto augurando loro
una cattiva digestione. Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e
contraria.
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