Ieri sera nella sala del Minor Consiglio, al Ducale, c’era Stefano Benni. Incontro con Stefano Benni h. 21.00 c’era scritto sul volantino. E io avevo voglia di incontrarlo e così sono andata. Sono arrivata in anticipo, ho messo giù la giacca a tenere un posto e sono uscita a fumarmi una sigaretta e a guardare il cortile del palazzo dall’alto. Si stava bene ieri, era caldo e non c’era vento. Io al vento di Genova non mi abituerò mai. Ora torno a ieri sera, che non ho voglia di perdermi via a parlar del tempo. Benni a me fa molta soggezione e mi spaventa anche, un po’. Non so perché però è così. Mi sembra uno scappato fuori da un quadro. È una sensazione strana, non riesco a spiegarla, rimane però il fatto che mi piacerebbe andare alle sue presentazioni ma essere invisibile, o essere una mosca. Lo so che non sono vista, son mica (così) scema. Lo so, però ogni volta che passa per Genova, e per fortuna passa spesso, c’è come una doppia forza in me. Una che mi spinge ad andare e una che mi farebbe rimanere a casa. Vince sempre la prima, almeno, per ora ha sempre vinto la prima. Anche ieri. Ieri una forza che mi diceva: sta qua, ormai è buio, hai il raffreddore, prendi l’aspirina e ti metti sotto la coperta, l’altra forza diceva: vorrai mica rimanere a casa vero? Pigra, infilati le scarpe e vai che muori dalla curiosità, se non vai poi passi tutta la serata a pensarci e domani ti dai della scema perché non sei andata e non conosci neppure qualcuno che ci va per farti raccontare qualcosa. E bon, sono andata, ma solo dopo aver preso l’aspirina. Durante la presentazione ho respirato sempre di bocca, ho cercato di soffiarmi il naso unicamente se c’erano delle pause (e nascondendomi per bene dietro la schiena di chi era seduto davanti a me). Va tu a sapere come reagiscono gli uomini scappati dai quadri se qualcuno si soffia il naso mentre parlano o leggono, mi dicevo. Ma intanto ascoltavo e stavo bene, lì, seduta sulla seggiola. Ha veramente una bella testa, si sta bene ad ascoltarlo. Anche quando legge si sta bene, ieri sera ha letto poco però. Tra le cose che mi sono più piaciute di quello che ha detto ci sono: Il contrario di comico non è tragico ma indifferente, e Io diffido da chi non ride mai. Sono abbastanza sicura di riportare giusto perché avevo carta e penna con me. Quella cosa lì che la comicità e la tragicità stanno dalla stessa parte l’ho letta più volte, l’ho pensata più volte, ma che dall’altra parte ci sta l’indifferenza no. O almeno non mi sembra proprio. Oggi non so quante volte mi è tornata in mente quella frase. Tante comunque.
E adesso, mentre scrivo questo post, mi viene in mente che Benni non è il primo uomo che mi sembra scappato fuori da un quadro, è il secondo. Il primo è stato il professore di filosofia che ho avuto in terza liceo, uno degli insegnanti più bravi che avuto. Altro uomo che mi metteva una soggezione difficilmente sostenibile. Lui mi faceva proprio paura. La prima volta che mi ha interrogata ho preso sei, era il primo sei che dava dall’inizio dell’anno, sono scoppiata a piangere. Lui mi ha fulminato e mi ha detto: spero che lei stia piangendo per la morte della verità. Io ho fatto sì con la testa e poi ho chiesto se potevo andare in bagno. Son passati più di trent’anni ma ricordo quell’ora benissimo.