mercoledì 3 giugno 2015

ero partita con il piede sbagliato


Ero partita con il piede sbagliato, decisamente sbagliato. Devo farlo, lo faccio, mi dicevo. Ma che cosa ci diranno dalle nove del mattino alle sei del pomeriggio? mi domandavo. E non mi posso neppure distrarre che poi devo far le crocette, continuava il discorso tra me e me mentre andavo a lavorare. E invece è stato un bel corso, utile, ho anche scoperto delle cose che mi son servite e spero mi serviranno anche in futuro. Non solo cose sulla sicurezza ma anche cose di come son fatta su io. La mattina era quasi tutta didattica frontale, il pomeriggio no. Il pomeriggio mi son trovata a fare giochi insieme a altri colleghi e a fare qualcosa di lontanamente collegato con il teatro d’improvvisazione. Perché chi guidava il pomeriggio è proprio un insegnante di teatro d’improvvisazione e quando ci ha dato il primo esercizio da fare io un po’ mi vergognavo, un po’, nel sottofondo della mia testa pensavo, Ma che cosa ci sta facendo fare? L’esercizio sembrava semplicissimo. Eravamo poco più di trenta dovevamo camminare in una stanza pensando di essere su una zattera e distribuendoci in modo da non farla ribaltare, quando ci si passava vicino ci si salutava presentandosi con il nome proprio e da quel momento si prendeva il nome di chi si incontrava. Quando, a forza di salutarci, incontravi qualcuno che ti restituiva il tuo nome potevi uscire dalla zattera. Ci abbiamo provato due volte. Un disastro. La seconda volta meglio della prima ma neppure la seconda volta ci siamo riusciti. E all’inizio, chi più chi meno, ci vergognavamo, ma poi è successo che più andavamo avanti più invece che star lì a pensare alla vergogna vedevamo quali erano i nostri errori. Ognuno lavorava sui suoi. Spetta, mi dicevo, hai preso la cosa alla leggera, l’hai considerato un esercizio facile e non sei stata attenta adesso che lo rifai sta attenta per bene a cosa ti viene detto. E la seconda volta ci son stata, più attenta, ma poi mi sono chiesta Ma io quando incontravo qualcuno e gli stringevo la mano lo guardavo o mi interessava solo memorizzare il nome? E mano a mano che andavamo avanti mi son resa conto che sì dovevo farlo ma quella cosa lì poteva veramente essermi utile, essere un’occasione per capire delle cose che potevano darmi un aiuto. In un altro esercizio dovevamo non far cadere un palloncino, chi si trovava vicino ci dava un colpo per tenerlo per aria. Nel frattempo se uno ti diceva qualcosa tu la dovevi passare dicendola a un altro, se ti faceva fare una cosa poi la dovevi passare facendola fare a un altro. C’era anche stato detto che tra noi c’erano due sabotatori che avevano il compito di far cadere il palloncino per terra. Alla fine parte delle cose che dovevamo fare o dire son andate perdute, il palloncino non è mai caduto e ognuno di noi ha dovuto dire il nome di una persona che pensava fosse uno dei due sabotatori. Chi ha raccolto più voti ne ha avuti otto, e una parte di me era anche contenta di aver votato chi poi aveva raccolto più sospetti solo che è venuto fuori che non c’erano sabotatori, che a nessuno di noi era stato dato quel compito. E mi son proprio sentita una merda ad averlo votato, e dal momento che ho votato un collega che conosco son andata da lui e gli ho detto Senti Giovanni mi son sbagliata ma io ti ho visto che avevi il palloncino vicino e non ci davi il colpo per farlo rimanere su. Ma parlando è saltato fuori che lui aveva capito male le regole e pensava che se lo avevi già colpito una volta non potevi ricolpirlo e invece nelle regole c’era che non potevi darci due colpi uno dietro l’altro. E mai e poi mai avrei pensato che potevo accusare, anche se all’interno di un gioco, una persona solo sulla base di una voce.
E poi la pianto qua che son andata troppo per le lunghe ma di cose da dire ce ne sarebbero tantissime. Aggiungo solo che, secondo me, per chiunque non viva sulla cima di una montagna in perfetta solitudine, sempre che la solitudine possa essere perfetta, una cosa del genere potrebbe essere d'aiuto e non solo sul lavoro. 

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