Ero
partita con il piede sbagliato, decisamente sbagliato. Devo farlo, lo faccio,
mi dicevo. Ma che cosa ci diranno dalle nove del mattino alle sei del
pomeriggio? mi domandavo. E non mi posso neppure distrarre che poi devo far le
crocette, continuava il discorso tra me e me mentre andavo a lavorare. E invece
è stato un bel corso, utile, ho anche scoperto delle cose che mi son servite e
spero mi serviranno anche in futuro. Non solo cose sulla sicurezza ma anche
cose di come son fatta su io. La mattina era quasi tutta didattica frontale, il
pomeriggio no. Il pomeriggio mi son trovata a fare giochi insieme a altri
colleghi e a fare qualcosa di lontanamente collegato con il teatro
d’improvvisazione. Perché chi guidava il pomeriggio è proprio un insegnante di
teatro d’improvvisazione e quando ci ha dato il primo esercizio da fare io un
po’ mi vergognavo, un po’, nel sottofondo della mia testa pensavo, Ma che cosa
ci sta facendo fare? L’esercizio sembrava semplicissimo. Eravamo poco più di
trenta dovevamo camminare in una stanza pensando di essere su una zattera e
distribuendoci in modo da non farla ribaltare, quando ci si passava vicino ci
si salutava presentandosi con il nome proprio e da quel momento si prendeva il
nome di chi si incontrava. Quando, a forza di salutarci, incontravi qualcuno
che ti restituiva il tuo nome potevi uscire dalla zattera. Ci abbiamo provato
due volte. Un disastro. La seconda volta meglio della prima ma neppure la seconda
volta ci siamo riusciti. E all’inizio, chi più chi meno, ci vergognavamo,
ma poi è successo che più andavamo avanti più invece che star lì a pensare alla
vergogna vedevamo quali erano i nostri errori. Ognuno lavorava sui suoi.
Spetta, mi dicevo, hai preso la cosa alla leggera, l’hai considerato un
esercizio facile e non sei stata attenta adesso che lo rifai sta attenta per
bene a cosa ti viene detto. E la seconda volta ci son stata, più attenta, ma
poi mi sono chiesta Ma io quando incontravo qualcuno e gli stringevo la mano lo
guardavo o mi interessava solo memorizzare il nome? E mano a mano che andavamo
avanti mi son resa conto che sì dovevo farlo ma quella cosa lì poteva veramente
essermi utile, essere un’occasione per capire delle cose che potevano darmi un
aiuto. In un altro esercizio dovevamo non far cadere un palloncino, chi si
trovava vicino ci dava un colpo per tenerlo per aria. Nel frattempo se uno ti diceva qualcosa tu
la dovevi passare dicendola a un altro, se ti faceva fare una cosa poi la dovevi passare facendola fare a
un altro. C’era anche stato detto che tra noi c’erano due sabotatori che
avevano il compito di far cadere il palloncino per terra. Alla fine parte delle
cose che dovevamo fare o dire son andate perdute, il palloncino non è mai
caduto e ognuno di noi ha dovuto dire il nome di una persona che pensava fosse uno
dei due sabotatori. Chi ha raccolto più voti ne ha avuti otto, e una parte di
me era anche contenta di aver votato chi poi aveva raccolto più sospetti solo
che è venuto fuori che non c’erano sabotatori, che a nessuno di noi era stato
dato quel compito. E mi son proprio sentita una merda ad averlo votato, e dal
momento che ho votato un collega che conosco son andata da lui e gli ho detto
Senti Giovanni mi son sbagliata ma io ti ho visto che avevi il palloncino
vicino e non ci davi il colpo per farlo rimanere su. Ma parlando è saltato
fuori che lui aveva capito male le regole e pensava che se lo avevi già colpito
una volta non potevi ricolpirlo e invece nelle regole c’era che non potevi
darci due colpi uno dietro l’altro. E mai e poi mai avrei pensato che potevo
accusare, anche se all’interno di un gioco, una persona solo sulla base di una
voce.
E
poi la pianto qua che son andata troppo per le lunghe ma di cose da dire ce ne
sarebbero tantissime. Aggiungo solo che, secondo me, per chiunque non viva sulla cima di una montagna in perfetta solitudine, sempre che la solitudine possa essere perfetta, una cosa del genere potrebbe essere d'aiuto e non solo sul lavoro.