sabato 31 marzo 2012

poi sono andata

Poi sono andata a sentire Oltre i mari, musiche e suggestioni musicali dei popoli migranti. Non li avevo mai sentiti. Son bravi*, molto, e son anche fuori come due balconi, proprio come le persone che piacciono a me, quelle che qualche venerdì l’han perso per strada ma la cosa non crea loro nessun problema, anzi. Magari al mio star bene lì un aiuto l’han dato la giornata, il bicchiere di vino preso poco prima con Daniele, anche se non son riuscita a convincerlo di provare a sentirli Al massimo poi te ne vai, gli dicevo, basta che ci sediamo in dei posti laterali, e il fatto che c'era anche una ragazza che conosco, Nevena si chiama, siam state dei mesi senza vederci, non lavoriamo più nello stesso istituto, e poi ci siamo incontrate sia ieri sera che la sera prima, ma io lì ci son stata proprio bene e son tornata a casa contenta.

Per chi non era lì: se incontrate Peter Ostroushko per strada, in Italia, ricordatevi di chiamarlo Pierino. Ci tiene.

* Beppe Gambetta e Peter Ostroushko

venerdì 30 marzo 2012

per festeggiare

Fatto. Fatto? Sì fatto il giro più o meno completo, fatte le analisi, ritirati i risultati e ‘sta mattina sono andata anche a fare la visita. Bon, sto bene, sana come un pesce, lo dicono le analisi, l’ha detto anche il medico. Adesso ho i miei fogliettini nuovi, il nuovo giro da prenotare per gennaio dell’anno prossimo e l’impegnativa per il controllo dei nei da fare tra maggio e giugno quando voglio, ma quello non mi preoccupa più di tanto chè mi sembrano tutti belli uguali all’anno scorso, anzi uno di quelli da tenere sotto controllo mi sembra fin più piccolo. E, sempre ‘sta mattina, c’è stato un dialogo tra me e il medico (uno nuovo) che a ripensarci adesso mi vien da ridere. E, rimanendo sempre a ‘sta mattina, io ‘sta mattina mi son presa una botta di grassa mal celata dietro un “mangia?, a lei piace mangiare vero?” (sono sessantadue chili per un metro e settantacinque di altezza, magra non sono ma direi neanche grassa, i normopesi esistono ancora?) e una di vecchia, anche quella mal celata dietro un “a una certa età è meglio…” (i prossimi sono quarantotto, giovane non lo sono da un bel numero d’anni ma nell’età di mezzo direi che ancora per un po’ ci dovrei rimanere, forse insieme al mondo dei normopesi è sparita anche la mezza età, chissà chi li ha rubati).
Quasi quasi, per festeggiare mi ascolto un concerto anche ‘sta sera.

contagiata

Questa sera al Ducale c’era una cosa che s’intitolava: Senza confini. Ebrei e zingari. E lì, grazie a loro*, alla loro voglia di raccontare, pensare ad alta voce, suonare, cantare e stare insieme io sono stata proprio bene. E adesso son contenta, tanto, dentro. E mi vien da pensare che la felicità è contagiosa e che noi, noi che eravamo lì in quella sala, siam stati tutti contagiati. Che bello.

* Moni Ovadia voce, Paolo Rocca clarinetto, Massimo Marcer tromba, Ennio D’Alessandro clarinetto, Albert Florian Mihai fisarmonica, Marian Serban cymbalon e Marin Tanasache contrabbasso

martedì 27 marzo 2012

una lettera (che non ho scritto)

Carissimo/a,
come stai? Io abbastanza bene, ti scrivo per confidarti un segreto: cambiare il rotolo della carta in bagno è una cosa semplicissima. Sembra difficile e invece no, è semplicissimo. Ti svelo i trucchi, lo faccio volentieri, son per la condivisione. Allora, andiamo con ordine. Sopra quell’affare di plastica trasparente che è appeso alla parete vicino al lavandino, hai capito quale? Quello dal quale spunta la carta, quando c’è o quando qualcuno ce la mette. Ecco proprio quello, lì, sopra quel coso c’è una chiave. È piccina ma si vede, vedrai che se fai attenzione la vedi anche tu. Girando la chiave il coso di plastica si apre e dentro c’è il rotolo finito, senza neppure un pezzettino di carta. Te da lì togli il rotolo finito e lo butti nel cestino che c’è sotto il lavandino. Ora in realtà potresti scastrare il pezzo di plastica e buttarlo nel bidone della plastica e il rotolo di cartone nel bidone della carta ma non corriamo. Iniziamo dall’abici, poi chissà. Una volta tolto il rotolo finito puoi mettere al suo posto quello nuovo. I rotoli sono in bagno, proprio dove sei adesso. Se tu guardi alla sinistra della tazza vedrai che ci sono due scatoloni, son lì, proprio sotto i rotoli della carta igienica. Visti? Lo sapevo che li vedevi. Uno è lo scatolone del sapone, l’altro è lo scatolone dei rotoli di carta. Non ti puoi sbagliare, c’è su il disegnino. Se stai pensando che non è un gran disegnino ti do ragione, non è un gran disegno ma si riesce a capire lo stesso qual è quello della carta e qual è quello del sapone. Fidati, prova e vedrai che apri quello giusto. Bon, guarda, in un batter d’occhio sei già a metà del lavoro. Bravo/a, ora vai avanti. Devi togliere quella carta più spessa che ricopre il rotolo e buttare anche lei nel cestino sotto il lavandino. Poi il rotolo lo tieni con le due mani, la destra va dove il pezzetto di plastica azzurro ha il buco, la sinistra dove il pezzetto di plastica azzurro ha un pippiolo che sporge. Ora lo puoi posizionare nell’affare di plastica che hai aperto all’inizio. Fantastico, sei quasi alla fine. Adesso fai avanzare il rotolo della carta, devi ruotare quella rotellina che c’è sulla destra, quella che usi, sempre per far avanzare la carta, quando il rotolo si inceppa, quando la carta come per magia sbuca dalla finestrella in basso allora il gioco è fatto. Chiudi quell’affare di plastica che hai aperto all’inizio con la chiave. La chiave lasciala sempre inserita chè se va persa non abbiamo il duplicato. Ci sei riuscito/a, lo sapevo che facevo bene a metterti a parte di questo segreto.
Grazie e buona giornata
Latte

lunedì 26 marzo 2012

è la sesta

Oggi in laboratorio è passato il frate per la benedizione pasquale. Ci ha lasciato un cartoncino con gli auguri, prendendolo in mano ho scoperto che si apriva e dentro c’eran scritte delle cose. Mi son messa a leggerle, Facciamo un ripasso e vediamo quanto ho dimenticato, ho pensato. Comandamenti, me li ricordo ancora, sacramenti, anche, Virtù teologali, son facili, Virtù cardinali… ma quali sono? È vero, le sapevo. Andiamo avanti che si va nel difficile, le sette opere di misericordia corporale, facciamo sufficiente che ti sei dimenticata che c’è anche ospitare i pellegrini, le sette opere di misericordia spirituale, il vuoto. Non me ne veniva in mente neppure una. Leggo e trovo: sopportare pazientemente le persone moleste.
Me lo son lasciato sulla scrivania. Mi serve.

domenica 25 marzo 2012

un inizio un po' sorprendente

Ieri a teatro ero in anticipo, non di molto, di un quarto d’ora. Mi son seduta, alla mia destra c’era una signora, alla mia sinistra una coppia, lui le leggeva il fogliettino che danno all’ingresso: un po’ di trama, qualche nota sull’attore, due righe di critica. A me piace arrivare in anticipo e mettermi a guardare chi arriva, immaginarmi le loro storie. ‘Spetta che chiudo il cellulare, mi son detta, ho armeggiato un po’ nella borsa, l’ho trovato, l’ho spento. Cercandolo ho trovato un cioccolatino, me lo son mangiato. La mia vicina di posto mi guardava, lo vedevo benissimo anche se non la stavo guardando in faccia. Poggio per terra la borsa, sotto la poltrona, e noto che lei la sua la tiene stretta con tutte e due le mani, appoggiata sulle gambe. Anche lei da sola? mi domanda. Sì, le rispondo, a mio marito non piace andare a teatro (lo so che non siamo sposati, non so perché l’ho detto, mi è uscito così). Lei mi risponde Il mio invece è morto. Tre anni fa. E da lì, da quell’inizio per me un po’ sorprendente, siano andate avanti. Mi ha raccontato tutta la stagione della Corte/Duse, compreso quello che avevo visto anch’io, compreso quello che lei non aveva visto, nel periodo dell’alluvione, ché sua figlia lavora alla FNAC e quando sono stati chiusi per rimettere a posto il negozio lei non se la sentiva di lasciarla sola a casa. Poi siamo arrivate allo spettacolo che stavamo per vedere, le ho detto che io la “Storia di Tönle” non l’ho letto e ho scoperto che lei invece l’aveva letto ma tanti anni fa e che non se lo ricordava bene. Abbiamo provato a ragionare se sia meglio conoscere che cosa si sta per vedere o saperne poco niente. Provare. Se piace si resta, se non piace ci si alza e si va via. Alla fine dello spettacolo ci siamo salutate Alla prossima volta mi ha detto.

sabato 24 marzo 2012

aggettivi e sostantivi

Ero quasi sotto la doccia e sento suonare alla porta. L’ho chiuso fuori, ho pensato. Abbiamo la porta d’ingresso che da fuori si apre con le chiavi, da dentro casa si chiude con il chiavistello. Se non lo tiri bene fino in fondo poi da fuori non entra la chiave, ogni tanto mi succede di chiuderlo fuori e a lui poi tocca suonare. Guardo dallo spioncino, non era lui. Non si vedeva bene, Chi è? chiedo. Sono Marco di Lotta comunista. Aspetta un attimo gli rispondo. Apro, ci salutiamo e sorridendomi mi dice: Daniele è a correre. No, ‘sta volta è al supermercato. E niente, prendo quell’insieme di pagine illeggibili gli do il contributo mensile e bon. A me Marco è simpatico, avrà poco più di vent’anni, ci crede, ancora, e poi non dice compagno almeno una volta per frase. L’altro, quello che passa più spesso, invece non mi è per niente simpatico, ogni volta una discussione, e sì che dovrebbe averlo capito che non sono mai andata né a un incontro né a una delle manifestazione che organizzano. E poi a me, ogni volta che sento quella serie di compagno e compagna infilata ovunque mi viene da pensare: guarda che non siamo uguali. Però non glielo dico mica, che poi mi toccherebbe spiegarmi e mi sentirei altre frasi di risposta tutte infarcite di compagni e compagne. Che per me tutta quella serie lì: compagno/a/i/e è stata per anni solo un insieme di aggettivi. Son diventati sostantivi dopo, a scuola, quando ho iniziato ad averli dei compagni. A casa compagno/a/i/e, come sostantivo, non si usava quasi mai.

venerdì 23 marzo 2012

mi ripeto, sarà l'età

Ho ripreso in mano Un cuore così bianco, l’ho lasciato lì per qualche giorno, poverino, era lì, solo sul comodino, non c’era neppure un altro libro a fargli compagnia. L’ho preso in mano e a pagina 199 ho trovato:
“Qualunque relazione tra due persone comporta sempre un sacco di problemi, di forzature, e anche di offese e umiliazioni.” E subito dopo: “Tutti obbligano tutti, non tanto a fare ciò che non vogliono, quanto piuttosto a fare ciò che non son certi di volere, perché quasi nessuno sa che cosa non vuole, e meno ancora cosa vuole, questo non c’è modo di saperlo. “/…/ “Magari sono stati costretti da un fattore esterno o da qualcuno che non fa più parte della loro vita, li obbliga il passato, l’infelicità, la loro storia, la loro sfortunata biografia. O anche da cause che ignorano o che non sanno vedere, quella parte di retaggio che tutti possediamo e non conosciamo, chissà quando è iniziato questo processo…”
e quel qualunque e quel tutti mi ha fatto pensare: sarà?! E poi son tornata indietro perché quello era un ricordo di un dialogo, la prima volta mi sembrava che ci fosse un pezzo in più, e ho riletto lo stesso dialogo e anche il pezzo in più, e ho trovato scritto di lato a matita: sarà?!

giovedì 22 marzo 2012

performante

Questa mattina attaccato alla porta di un negozio c’era un cartello grande, bianco, con una scritta blu, in stampatello maiuscolo. Si leggeva:

LA ZUPPA DI CECI
È UN ALIMENTO DIETETICO
VITAMINICO
ANTIOSSIDANTE
PERFORMANTE
E PARE ANCHE
AFRODISIACO

mercoledì 21 marzo 2012

che spandono dappertutto

Vedete, anch’io ho la mia gomma pane, e anche lei ha cancellato tante di queste parole che ho già scritto in fretta, perché le rileggo e certe volte mi sembrano quelle giuste, ma poi suonano vaghe, imprecise; sono quasi quello che sento davvero, ci confinano, sono più o meno quello che voglio dire, ma non esattamente. Certe volte ci accadono cose troppo grandi, che non stanno dentro le parole, che spandono dappertutto come una fontana che versa in un secchio già pieno.
Tutti i colori del mondo – Giovanni Montanaro – pag. 63

martedì 20 marzo 2012

a volte serve

Oggi mi sto quasi simpatica. Sarà che questa mattina devo aver messo giù il piede giusto. Sarà che ieri sera, prima di addormentarmi, mi sono fatta un autoca@@iatone, che non si può mica andare avanti a veder solo le cose che non vanno come vorrei. Sarà che c’è il sole, cioè c’era il sole adesso è tramontato. Qualsiasi sia il motivo oggi c’erano tante piccole cose che mi sembran belle. Ma cose piccole piccole, piccolissimissime direi. ‘Sta mattina son venuti a pulire i vetri in laboratorio, li ho salutati: Salve (io il salve lo uso tutte le volte che ciao non mi pare il caso che non ci si conosce e buon giorno mi sembra che non vada bene che son anni che ci si incontra anche se non ci si conosce) e ho continuato a fare quello che stavo facendo che non potevo distrarmi. Quando ho alzato la testa dal bancone c’era il sole che entrava in stanza e da dov’ero si vedeva bene il pino del giardino che c’è subito lì fuori e un pezzetto di cielo. Poi, quando sono uscita a buttar via nel bidone del vetro delle bottiglie vuote di acqua e di fisio, stavano pulendo il vetro del portone d’entrata, rientrando ho detto: è bello adesso in laboratorio, sembra che sia arrivata la primavera. Era tanto che non vedevo due sorrisi in stereofonia. Domani è primavera, mi ha risposto uno dei due, ci stiamo portando avanti con il lavoro. Ecco, questa è la prima cosa bella di oggi. E poi ne sono successe altre, tutte così, piccine. L’ultima è successa mentre tornavo a casa. Non avevo tanta voglia di far da mangiare così sono entrata nel mio negozio di pasta fresca preferito (mettere su dell’acqua con un po’ di sale e buttarci dentro dei ravioli non è una gran fatica, posso farcela pensavo) e la ragazza che me li ha dati era nuova e li ha messi in un vassoio, come fossero paste, e ha fatto il fiocco con del nastro arancione e poi ha fatto anche i riccioli al nastro. E io la guardavo e era bello guardarla mentre preparava quel pacchetto, avrebbe potuto metterli in sacchetto di quelli bianchi di carta e chiudere con pezzo di scotch e invece no, mi ha fatto questo pacchetto, bellissimo e mentre tornavo a casa mi piaceva tenerlo in mano infilando il dito nel fiocco arancione.
E bon, oggi è andata così. A volte farsi i ca@@iatoni serve. Si vedon le cose, dopo.

domenica 18 marzo 2012

shir

… in ebraico non è chiara la differenza tra una canzone e una poesia, entrambe si chiamano shir. Non è come dicono alcuni, che loro ‘chiamano’ sia le poesie sia le canzoni nello stesso modo. Loro le poesie e le canzoni non le chiamano proprio. Nel loro mondo, che è diverso, ci sono divisioni diverse tra le cose, e questa divisione non c’è. Uno shir è una composizione in versi in cui è fondamentale la componente musicale.
Bar Atlantic – Bruno Osimo – pag. 207

sabato 17 marzo 2012

mìgnon


Tanti anni fa, ma tanti perché vivevo ancora a Bergamo e ero nanetta, ma non nanissima, nanetta grandina, avevo deciso di fare un regalo al resto della famiglia e anche a me stessa e ero entrata in una pasticceria. C’erano delle paste di grandezza normale e delle paste fatte uguali ma piccine. Quella volta, quella che mi è venuta in mente oggi mentre innaffiavo, la commessa mi aveva chiesto: Le desidera normali o mìgnon? Proprio con l’accento sulla i. E oggi a guardare i mei tulipani mi son detta Ma carini i miei tulipani mìgnon.

venerdì 16 marzo 2012

no, io li ho

Qualche giorno fa è successo che un amico mi ha girato una mail e allora a me è venuto da pensare: se è arrivata a lui che insegna anatomia sta facendo il giro di tutta l’università, e se fa il giro di tutta l’università allora è un incontro pubblico. Ora io non so se era un incontro pubblico (mi sa di no) ma, dal momento che da lì nessuno mi ha mandato via, so che superati i primi minuti durante i quali mi ripetevo: ma che ci faccio qua che secondo me son l’unica in questa stanza fuori posto, superati quei minuti, nei quali avessi avuto la possibilità mi sarei trasformata volentieri in un libro, ma un libro con orecchie, occhi e mi sarei sistemata su uno scaffale, appena Nori ha iniziato a leggere io lì son stata benissimo. E a pensarci adesso a me vien da dire che no, che io li ho gli scrittori preferiti e mi vien da dire anche che i foglietti che permettono di recuperarsi delle ore di straordinario e fare delle cose differenti dall’andare in laboratorio sono una gran bella conquista.

a bi ci di e effe gi acca e i

Ieri sera sono andata a vedere La scuola delle mogli. C’era il protagonista, il signor Ciocco che poi era Eros Pagni, che quando voleva farsi passare il nervoso recitava l’alfabeto. Oggi ero lì che lavoravo, ce ne erano di cose da fare e dovevo anche sbrigarmi che bisognava mandar via dei risultati, quando una mia collega voleva che si cambiasse il toner della stampante, in due. Cioè secondo lei io, dal momento che il toner era finito e lei voleva stampare, avrei dovuto piantar lì quello che stavo facendo e cambiare il toner con lei. Che in sé è poca cosa, ci vuole un attimo, ma a me, sarà che non è un gran bel periodo, è venuto su del nervoso, parecchio ad essere sincere sincere e così non l’ho fatto. Ho aspettato di aver bisogno di stampare io e allora l’ho cambiato. Lei mi ha detto che mi aiutava, Non è lavoro per due persone le ho risposto, abbastanza secca, secca senza abbastanza. E mentre cambiavo un colore lei si è messa a cambiarne un altro, abbiam cambiato due colori a testa. E poi ho provato: a bi ci di e (cambio tono) effe gi acca e i.
Niente, con me non funziona, lui cambiava umore subito, io due volte tutto l’alfabeto e continuavo lo stesso a domandarmi cosa ci sia di così complesso nel cambiare un torner in piena autonomia.

mercoledì 14 marzo 2012

errata corrige

Ho fatto un errore, che strano, non faccio mai errori, va tu a saper come mai è successo, correggo: il titolo del libro citato nel post la mia amica C. era incompleto, il titolo corretto è: "Los caracoles no saben que son caracoles... por que no se ven!" (grazie C.)

martedì 13 marzo 2012

come il telefono senza fili

Le cose raccontate da chi sa di che cosa sta parlando son diverse, arrivan meglio, più dritte, più vere. Almeno a me sembra così. Te ti puoi documentare, poi cercare di capire ma se chi ti sta informando è qualcuno che riporta, magari che riporta il riportato, non è la stessa cosa. Mi sembra che sia un po’ come quando da bambini si gioca al telefono senza fili, però lì è un gioco e tu sai che è un gioco e il gioco consiste nel vedere che cosa salta fuori e si è coscienti che quello che salta fuori spesso non ha niente a che fare con quello che era inizialmente. Da grandi si fa lo stesso gioco senza rendersi più conto che è un gioco. Pensando che sia una cosa seria e che quello che si ascolta sia la verità, o qualcosa di molto simile alla verità. Oggi è passata dal laboratorio una ragazza del Cairo che conosco, abbiamo parlato mentre mangiavamo. Mi ha raccontato che cosa ha visto da novembre a fine febbraio, quale è stata la sua vita in questi quattro mesi, che cosa pensa sia successo e che cosa pensa stia succedendo adesso. La sua rabbia e la sua paura. La voglia di tornare in Italia. A me sembra di aver capito di più in quei quaranta minuti di pranzo insieme che da tanti telegiornali e giornali.

domenica 11 marzo 2012

un pensiero arrivato tra i vasi

Per una strana coincidenza sto leggendo due libri(*) che hanno in qualche modo a che fare con la traduzione. Non mi capita spesso di leggere due libri contemporaneamente, che poi non è che sia proprio contemporaneamente perché in realtà se leggo uno non sto leggendo l’altro, andrebbe meglio dire iniziare un secondo libro senza aver finito quello che leggevo ma con l’idea di finirlo. Va be’, comunque sia ‘sto pomeriggio, mentre rinvasavo le piante sopravvissute alle gelate di quest’inverno, mi son ritrovata a pensare alla responsabilità che chi traduce ha nei confronti non solo del testo che sta traducendo e dell’autore che ha scritto il testo che sta traducendo ma anche di tutti coloro che prenderanno quella traduzione in mano perché non hanno altra possibilità se non affidarsi ciecamente a quel lavoro. E poi pensavo a come sarebbe triste se non ci fosse chi traduce, se ogni lettore, che non ha possibilità di leggere se non nella sua lingua, fosse costretto dalla propria ignoranza a leggere solo autori che scrivono nella sua stessa lingua.
(*)Un cuore così bianco Javier Marias, Bar Atlantic Bruno Osimo

sabato 10 marzo 2012

due domande

Mi chiedo perché? Anche se lo so benissimo perché, perché nel senso di come mai? Quello che non so è perché nel senso di: ma che senso ha? È quella la domanda che mi faccio, che senso ha? Quando la smetterò? Ogni volta va un po’ meglio, però ho ancora tanto da fare per viverla tranquillamente. Che senso ha che io ogni volta passi delle settimane (e delle notti) di merda? che inizi a star male due settimane prima e che l’unico modo che ho per star meglio è non lasciarmi spazio libero? E ‘sta mattina ripensavo a una cosa che ho saputo ieri e che se fossi in un periodo normale ne sarei stata fin contenta e invece la mia reazione è stata: ma ci vuole la tessera, a me i posti dove si può andare solo con la tessera non piacciono. E oggi a ripensarci mi vien da ridere, ridere di me, del mio carattere, delle mie idee. Poi torna su il cattivo umore e allora passo all'attacco: ‘sto fine settimana lo riempio per bene, la prossima settimana lavorativa è di quelle senza tregua, e ora mi organizzo per uscire anche mercoledì e sabato sera. E poi mi metterò d’impegno a lasciar pochi spazi anche in quella dopo e se non passa questa sensazione anche in quella dopo ancora. Poi bon, dovrei tornare ad essere normale.
(post della serie: uno sfogo, chissà se resta o se lo cancellerò che quando leggo i post sfogo di altri penso: ma un amico non ce l'ha?)

venerdì 9 marzo 2012

un cane


Da bambina ero convita che mia mamma sapesse le risposte a tutte le mie domande. Da grandina anche. È che oltre a sapere tante cose è molto curiosa e così succede spesso che poi una risposta alle mie domande, se non la sa, la trova. Quando sono tornata da Venezia, la scorsa estate, le ho chiesto: mamma ma tu sai che cosa ci fa un bassotto sopra la porta della chiesa dei santi Giovanni e Paolo? E lei, che non ha ancora perso la pazienza e insiste a voler insegnarmi la nostra lingua, mi ha risposto Sei sicura che sopra il portale della basilica dei santi Giovanni e Paolo ci sia un bassotto? Sicurissima, ti faccio vedere, e le ho mostrato la fotografia che avevo fatto. Ecco, questo è l’antefatto. ‘Sta sera eravamo al telefono e mi ha detto Poi ti racconto con calma che adesso sono di fretta, stiamo per uscire, ma c’è una storia bellissima con la mamma di san Domenico che quando era incinta ha sognato un cane con in bocca una fiaccola. Poi ti racconto meglio, adesso sappiamo chi è il bassotto che hai notato l’altra estate.

mercoledì 7 marzo 2012

La mia amica C.

Pensierini:

La mia amica C. non è solo amica mia ma dal momento che è anche amica mia io il possessivo lo lascio. È un possessivo affettivo, non è un possessivo che vuole fare il lavoro per il quale esiste cioè possedere. In questo senso è un possessivo che lascia liberi e quindi un possessivo simpatico.

La mia amica C. si è licenziata a fine anno e alla fine di gennaio, il ventotto a voler essere precisi, se ne è volata a Londra. Senza avere una casa dove andare e senza avere un lavoro. È una fatta così. Qua non ce la faceva più a stare e ha deciso per un cambio drastico. La ammiro molto, io di cambi ne ho fatti ma uno così non ho mai avuto la forza di farlo.

La mia amica C. mi manca molto. Ci scriviamo delle mail, anche delle mail lunghe, anche delle mail con scritto dentro delle cose che solo le amiche si raccontano però non è la stessa cosa che vedersi tutti i giorni. Non è la stessa cosa che darsi un’occhiata e capire subito di che umore è l’altra.

Ho voglia di rivedere gli occhi della mia amica C., soprattutto quando ridono.
Ho voglia di parlar di libri con la mia amica C. (e di scambiarceli).
Ho voglia di far quei discorsi che solo con lei riesco a fare senza vergognarmi troppo. Quelli che poi ci guardiamo e ci diciamo: ma quanti anni abbiamo oggi?

La mia amica C., qualche anno fa, è andata a lavorare per un periodo a Barcellona e, dal momento che lei è una di quelle persone che imparano le lingue facilmente, quand’è tornata leggeva tranquillamente anche in spagnolo. Un giorno è arrivata in laboratorio con un libro che si intitola: Los caracoles no saben que son caracoles. E io adesso, quando sento che mi sta montando il nervoso mi ripeto nella testa: le lumache non sanno che son lumache, e continuo fino a che vedo che sto meglio. Sembra assurdo ma funziona.

lunedì 5 marzo 2012

L'infinito (quello di Scarpa)

Quando leggo un testo teatrale mi vien da far le voci. Con gli occhi lo vedo lì il nome come vedo i due punti ma non ne sento il suono, per non perdere il filo mi metto a far le voci. Nel testo che ho appena finito c’era anche un coro, difficile fare il coro da sola ma è possibile, basta volerlo e si sente anche il coro. Questa volta mi è successa una cosa stranissima, è successa dopo che avevo letto una di quelle cose scritte per storto, quelle che dovrebbero essere d’aiuto a rispettare il testo quando va in scena, cose che molto probabilmente hanno anche un nome, nome che però io non conosco, quando incontravo scritto “una canzone pop, va bene qualsiasi genere tranne il rap” o "qualunque genere, ma non un rap" le righe dopo avevano il ritmo di un rap. Successo più di una vota. Che testa che mi ritrovo a portarmi in giro.

sabato 3 marzo 2012

moderne


A me, 'ste sigarette moderne che se non tiri in continuazione si spengono, fan venir il nervoso.

venerdì 2 marzo 2012

colletta

Sono passata da Fabio a prendere un libro che avevo ordinato, ne volevo prendere anche un altro ma non lo vedevo. Non era neanche tanto sicura che fosse già uscito così glielo chiesto. Sì è uscito, ieri o oggi, ma non mi è ancora arrivato, mi ha detto, poi ha aggiunto Sai che Osimo viene a presentare qua? Ma dai? gli ho risposto e lui ha continuato raccontandomi che aveva chiesto se poteva venire a presentare anche un altro autore ma che niente, non si poteva, bisognava pagargli l’albergo e il treno e i soldi non c’erano. A me è venuto spontaneo dirgli Manda una mail alla mailing list, si potrebbe fare una colletta tra i lettori. E a Fabio veniva da ridere a pensare alla mia idea, ma ha solo sorriso che siamo amici. A me comunque non sembrava cattiva.