martedì 30 novembre 2010

fa casa

Io al vento, soprattutto al vento freddo, non mi abituerò mai. Ho perso ogni speranza di abituarmi al vento freddo. Son qua dall’88 e sono ancora al punto di partenza. Ci si deve nascere in un posto ventoso per aver un minimo di speranza di abituarcisi. Il vento freddo si intrufola ovunque, e non c’è giacca che lo tenga lontano, lui si infila e poi ti secca le mani, e le labbra, e io non ho mai voglia di mettere la crema che con le mani incremate non si può far niente se non farsi venire il nervoso. Però, tornare a casa dopo aver fatto un pezzetto strada al vento, entrare a casa e sentire il caldo, sentire il naso e le orecchie che stanno cambiando colore, cambiarsi che si ha ancora freddo ma già meno, infilarsi la tuta che è là, buttata in malo modo ai piedi del letto, maglietta e giacca in un sol colpo perché tolti in un sol colpo la sera prima, è una cosa che mi piace molto. Fa casa. Anche scrivere un post tutta storta perché sulle gambe c’è un gatto che fusisce fa casa.

lunedì 29 novembre 2010

poi torna

L’amicizia è un cumulo di sentimenti solidi e contrastanti, è confidenza e sospetto, è generosità e egoismo, è benevolenza e malanimo.

Le pietre volanti L. Malerba

Il sospetto non mi torna, non riesco a capire che cosa possa avere a che fare il sospetto con l’amicizia. Io, se sto sospettando di un/a amico/a mi vien da pensare che l’amicizia se ne sta andando. L’egoismo e il malanimo mi tornano già di più. È già più facile che ci siano nell’amicizia. Almeno, a me è capitato, non so agli altri. Poi se mi accorgo di loro mi vergogno, mica tantissimo, un po’. Confidenza, generosità, benevolenza van d’accordo con l’amicizia, l’egoismo e il malanimo con l’amicizia sembra che non vadan d’accordo ma, se ci si pensa su con calma si capisce, e tornano anche loro. Io quando sono veramente amica di qualcuno devo stare attenta. Son portata a pensare che la nostra amicizia debba bastare che non ci sia posto per qualcun altro e con ‘sto tipo di pensieri l’egoismo e il malanimo van d’accordo. Li capisco, son tutti e due là, dietro l’angolo dell’amicizia, pronti a saltar fuori se solo mi distraggo. Ma il sospetto? il sospetto non lo capisco. Però questa è una di quelle frasi che una volta letta mi si pianta dentro e poi anche se penso che se ne sia andata via non è mica vero, questa mi sa che è una di quelle frasi che magari se ne va anche ma poi torna quando meno me lo aspetto.

domenica 28 novembre 2010

47 e una

Sempre ieri pomeriggio c’era chi presentava Nori, non mi ricordo il suo nome, io per i nomi non ho memoria, anche quello di Nori ci ho messo del tempo a impararlo poi ho trovato il modo (sotto casa dei miei, che poi è stata anche casa mia per un bel po’ di anni, c’era una lavanderia e andando avanti per la stessa strada c’era, e c’è ancora, un negozio che vede macchine fotografiche e sviluppa fotografie che sia chiama Noris foto e subito dopo c’era, e c’è ancora, un fiorista, Paolo fiori), quello che presentava Nori, dicevo, ha letto l’elenco delle sue opere, anche delle traduzioni e è saltato fuori un 47 poesie difficili e una facile e a me, sentendolo, è arrivato un sorriso che, anche dopo la correzione di Nori, se ne stava lì e mica se ne andava. Quel libro io l’ho preso che era uscito da poco ma poi gli sono passati avanti altri libri. Il titolo, quel titolo, aveva su di me la capacità di allontanarlo. Poi mi son decisa, mi son detta: te leggi poi al massimo gli cambi titolo, nel peggiore dei casi diventerà: 47 poesie facili e una difficile per lui, 47 poesie difficili e una facile per me (poi, quelle difficili, son state più di una ma meno di 47). E adesso ripensandoci mi è venuto anche in mente che su aNobii avevo visto un gruppo con una domanda su quel libro: Qual è secondo te quella difficile? ma non c’erano risposte. Son andata a cercarlo. Non riuscivo più a trovarlo per colpa di una maiuscola. Poi l’ho trovato ma continuano a non esserci risposte. Peccato, le avrei lette volentieri.

sabato 27 novembre 2010

dei danni

Oggi sono stata a Arenzano, volevo sentire Nori. E mi è successo che un discorso che stavo facendo qualche giorno fa con la mia amica C. (che ha un numero di anni meno di me tale che si può tranquillamente dire che è della generazione dopo la mia) ha fatto corto con quello che stavo sentendo e così tornando a casa, sul treno che mi riportava a Brignole, ci ripensavo. E alla fine son arrivata alla conclusione che altro che star lì a non disturbare, c’è chi di noi ha fatto dei danni.
C’era un pezzo di quel discorso che, ora non lo ricordo a memoria, non ci posso mettere la mano sul fuoco che l’abbia letto senza cambiare nulla, ma se non era identico era molto simile, che fa: “Quelli che erano nati negli anni venti, e che avevano vent’anni negli anni quaranta, avevan dovuto combattere perché c’era la guerra e servivano dei soldati. Quelli che eran nati negli anni trenta, e avevan vent’anni negli anni cinquanta, avevan dovuto lavorare perché c’era stata la guerra e c’era un paese da ricostruire. Quelli che eran nati negli anni quaranta, e che avevan vent’anni negli anni sessanta, avevan dovuto lavorare anche loro perché c’era il boom economico e una grande richiesta di forza lavoro. Quelli che eran nati negli cinquanta, e che avevan vent’anni negli anni settanta, avevan dovuto contestare perché il mondo così com’era stato fino ad allora non era più adatto alla modernità o non so bene a cosa. Poi eravamo arrivati noi, nati negli anni sessanta e che avevamo vent’anni negli anni ottanta e l’unica cosa che dovevamo fare, era stare tranquilli e non rompere troppo i maroni. Mi sembrava che noi, avevo detto, fossimo stata la prima generazione che, se ci davano un lavoro, non era perché c’era bisogno, ci facevano un favore.” Io quel pezzo l’ho letto più volte e l’ho sempre trovato bello e vero. Mi ci sono sempre ritrovata in quel ragionamento e invece ‘sto pomeriggio mentre lo ascoltavo mi sono resa conto che, per me, ne manca un pezzo. Perché, secondo me, quelli della mia generazione, che poi è la stessa di quella di Nori dal momento che abbiamo un anno di differenza, non dico tutti ma molti, con il fatto di accettare un lavoro come un regalo, abbiamo fatto dei danni (e sarebbe anche il caso che la piantassi lì con gli impersonali e i discorsi generici e passassi all’io). Io sono una di quelli che ha fatto dei danni perché son stata ben contenta di ricevere una borsa post dottorato e son stata ben contenta di essere stata assegnista universitaria per quasi quattro anni. Io quei contratti li ho firmati, anche se non trovavo giusto che quei contratti non avessero un numero di giorni di ferie stabilito ma contemplassero ferie a discrezione del capo servizio. Io li ho firmati anche se non trovavo giusto che quei contratti prevedessero la maternità ma senza stipendio. In quei fogli c’era scritto che se volevi avere un figlio te te ne stavi a casa cinque mesi, perché per legge per cinque mesi non potevi lavorare, ma senza percepire stipendio, infatti è noto che per due mesi prima della nascita di suo figlio e per i primi tre dopo una donna non ha bisogno di mangiare, non paga l‘affitto e non spende in bollette, vive d’aria e della gioia della maternità. Io, dicevo, quei contratti li ho firmati e ero contenta di firmarli. Mi sentivo fortunata. E non sono neppure tanto sicura che ritrovandomici, ritrovandomi nelle stessa condizioni, con lo stesso entusiasmo che avevo in quel periodo della mia vita, non rifarei gli stessi errori. E l’altro giorno parlando di precariato con C. io alla mia amica glielo detto: è anche colpa mia se ci sono in giro contratti del genere. Io e altri con me, siamo stati tra i primi, abbiamo fatto da cavie e hanno visto che la cosa poteva funzionare. E adesso voi, avete il lavoro doppiamente più difficile, voi adesso, per poter cambiare le cose dovete fare il doppio del lavoro perché sanno che persone come noi esistono.
Però, sempre tornando verso Brignole, pensavo che bisogna anche trovare un modo di dar loro una mano che capire che si sono fatti dei danni è un punto di partenza ma non basta mica.

venerdì 26 novembre 2010

uno zio vero

Mia mamma è figlia unica, mio papà no, mio papà è un secondo figlio. E così io ho avuto uno zio. Un solo zio di sangue, anche sua moglie la chiamavo zia, e anche i prozii li ho sempre chiamati zii, e anche degli amici dei miei, anche loro li chiamavo zii, ma loro li chiamavo zii solo da bambina.

Giovedì andando prima a Bergamo e poi a Legnano mi venivano in mente immagini di mio zio. Non erano ricordi, erano un po' come delle fotografie, e ogni fotografia muoveva dei ricordi, ma dopo, prima c'era la fotografia. Alcune erano legate all’infanzia, altre agli ultimi anni. Mio zio me lo ricordo come una persona molto seria e poco incline a esternare quello che prova. Non ho mai capito se era pudore o incapacità, ma la cosa è poco importante. Una persona con un forte senso della famiglia e del dovere. Oggi mentre tornavo a Genova mi sono tornati in mente ricordi di quando eravamo al mare, tutti di pochi anni fa. In uno eravamo in spiaggia ad Alassio. Lui, da quando era rimasto vedovo, aveva diminuito al massimo il dialogo con gli altri frequentatori dei bagni. Aveva trovato un modo bellissimo, teneva i tappi per le orecchie che usava quando andava a nuotare anche quando sedeva sulla sdraio. Dei tappi giallo polenta che si vedevano benissimo anche da lontano. A me, togliendosene uno, aveva detto: se vuoi dirmi qualcosa picchiami su una spalla, che li tolgo.

martedì 23 novembre 2010

cassette teletrasportate



Oggi c’era sciopero degli autobus, garantivano solo le fasce dalle sei alle nove e dalle diciassette alle venti. E così è successo che io all’una avevo finito di lavorare da una parte, nell’istituto dove lavoravo fino a sette anni fa, e me ne volevo andare a lavorare nel posto dove lavoro ora ma non avevo voglia di prendere un taxi. Me la sono fatta a piedi. Non è lunghissima ma neppure corta. Ci vogliono tre quarti d’ora, se si cammina di buon passo. All’inizio c’è una salita, non molto ripida, poi invece è tutta discesa. E c’era il sole, e si stava proprio bene. A camminare veniva fin caldo. Ho tolto il cappotto ma ho tenuto la sciarpa. Secondo me ero un po’ ridicola in golf di cotone e sciarpa di lana anche un po’ pelosa, la sciarpa. In via V Maggio c’erano tre cassette delle lettere che sembravano teletrasportate da un altro posto, non ci acchiappavano niente con i palazzi vicini. Erano bellissime.

lunedì 22 novembre 2010

considerazione/confessione

A me il foglio bianco spaventa. Spaventava quando andavo a scuola, spaventa adesso. Anche il foglio bianco virtuale mi spaventa. È una settimana che devo scrivere una cosa, una cosa corta sulle tremila battute, in italiano e poi l’argomento lo conosco. Continuavo a rimandare. ‘Sta sera mi ci sono messa, meglio non commentare il risultato ottenuto per ora. Mi è venuta pure voglia di passare da qua pur di allontanarmi da quella mezza paginetta. Va beh, ora mi mangio un Lindor di quelli grossi, con la carta nera, poi magari mi fumo una sigaretta e poi riapro quella mezza pagina.
Dovessi scrivere più spesso sarei grassa come un maiale e spenderei il doppio in sigarette.

sabato 20 novembre 2010

trattati bene

Io non lo so se capita a tante o a poche ma se io trascuro i miei talloni loro si arrabbiano e si tramutano velocemente in zoccoli. La cosa mi urta, parecchio. Oggi sono andata di pomice, oggi son corsa ai ripari. E mentre usavo la pomice verde che mi sono comprata quest’estate al Bottegone di via Garibaldi mi dicevo: te non ti tratti bene. È un periodo questo che non ti tratti bene. Ora si cambia registro. E mi è venuto in mente che trattati bene lo dico solo alle persone alle quali, per un verso o per l'altro, voglio bene. E l’altra sera ero al telefono con mia mamma e le ho detto: cerca di trattarti bene e lei mi ha detto: vardarò e a me è venuto da risponderle: guarda che se non tratti bene la mia mamma io mi arrabbio e vengo là.

giovedì 18 novembre 2010

gironata

‘sta mattina, anzi anche ‘sta mattina proprio come ieri, sono arrivata a lavorare e una collega invece che rispondere al saluto ha abbaiato. Non scherzo, è proprio così io dico Ciao e lei risponde Bau, cioè dice Ciao ma lo dice con un tono che io sento Bau. E già son stanca, che è un periodo che c’è una montagna di roba da fare che non fai tempo a tirare il fiato che ne arriva altra, già oggi dovevo fare delle cose che non mi piacciono, che non mi incuriosiscono per niente ma che devo fare perché le devo fare e allora bon le faccio. Insomma ero all'inizio della giornata e mi si stava velocemente stortando l’umore. Allora prima di iniziare ho controllato la posta e risposto a delle mail. Una era da scrivere in quella lingua che non mi piace, politichese lo chiamo. Quelle mail che iniziano con Gentile Dott. o Dott.ssa e dovrebbero finire con cordiali saluti ma a me scrivere cordiali saluti proprio non piace e così di solito finisco con Buona giornata. C’era la mia amica C. in stanza, le ho chiesto: hai voglia di leggerla e vedere se si capisce? Lei l’ha letta, si capisce, mi ha detto, ma guarda che hai scritto buona gironata. Aveva ragione, avevo proprio scritto gironata. Abbiamo deciso che ci piace gironata, che lo possiamo tenere nel nostro vocabolario.

Alcuni esempi dell’uso della parola gironata e suoi derivati:

Come va?
Guarda, lasciami perdere che sono gironata.

Vieni a prendere un caffè? Ho bisogno di una pausa che sono gironata.

Ero gironata e poi mi son detta: Ma ti pare il caso? e mi è passato subito il gironamento.

Secondo me può funzionare.

martedì 16 novembre 2010

pollice

‘sta mattina sull’autobus c’era un bambino che avrà avuto sì o no quattro anni che giocava con un giochino elettronico e muoveva i pollici a una velocità incredibile. E allora mi è tornata in mente mia nipote che con la sua macchina fotografica nuova è velocissima. L’altra sera mi ha fatto vedere le foto che sua mamma aveva fatto alla festa di una sua amica. L’amica si chiama: Isa-che–mi-ha-rotto-l’hula-hoop. Non l’ha mai chiamata in maniera diversa. Lei mi faceva vedere le foto e andava avanti o indietro, ingrandiva per farmi vedere meglio amici e compagni di classe, con ‘ste ditine piccole e velocissime. E poi ‘sta mattina mi è venuto in mente che la mamma di mia nipote mi ha raccontato che il maestro di piano ha implorato i genitori di far giocare i bambini con qualcosa di differente dei giochi elettronici perché quest’anno gli è capitato che tra i bambini del primo corso, quelli di tre anni, c’era chi, quando lui diceva: schiaccia questo tasto, lo facevano con il pollice.

lunedì 15 novembre 2010

lampioni

‘sta sera c’è tanto di quel vento che son uscita sul terrazzo per portare in casa l’innaffiatolo chè avevo paura che cadesse di sotto e ci sono dei lampioni che per pochi secondi illuminano a giorno. I tuoni che dovrebbero seguire i lampioni non si sentono. Deve essere lontano il vero temporale, sul mare, lontano, a guardar da dove vengono i lampioni.

domenica 14 novembre 2010

questo fine settimana

- ho fatto la figlia a tempo pieno per quasi due giorni
- mi son sentita chiamare zia Latte per una cena e una serata
- ho giocato a Scarabeo-Geronimo Stilton in coppia con mia nipote, lei ha vinto tutte e due le partite (e quindi anch’io ho vinto, il mio contributo però è stato molto scarso, l’unica parola utile è stata combusto)
- ho mangiato lo strudel di mia mamma che è buonissimo e dentro c’è di tutto anche albicocche e prugne disidratate, grappa, e anche i biscotti tritati così se le mele lasciano giù troppo liquido la sfoglia si cuoce bene lo stesso.
- ho fatto una battaglia con mio fratello. Le munizioni erano i gusci dei pistacchi.
- sono andata in cimitero, era da luglio che non ci andavo.
- ho giocato con i gatti dei miei. Fino a due anni fa andavo particolarmente d’accordo con il maschio, ora anche con la gattina mi trovo bene. Fusiscono in modo differente ma tutti e due fusiscono in un modo molto bello.
- mi sono messa a cercare con mia mamma la sua copia di un libro che stavo leggendo, volevamo confrontare le due traduzioni. La sua copia era di suo papà, aveva le pagine di quelle che si devono tagliare prima di iniziare a leggere. Non siamo riuscite a trovarlo ma abbiamo ripreso in mano libri che ci sono piaciuti.
- ho preso quattro treni e tutti e quattro i treni che ho preso erano in orario, anzi il Milano Bergamo è arrivato con tre minuti d’anticipo.

venerdì 12 novembre 2010

biscotti (prova)

La veterinaria di Cato è omeopata, eh sì ci sono anche i veterinari che credono nell’omeopatia, io poco. Nell’effetto placebo invece credo, cioè credo è un po’ forte, diciamo che sono abbastanza convinta che esista. Allora dicevo che a volte Cato ha dei problemi di salute, alcuni si arginano con l’omeopatia altri vengono riconosciuti come importanti anche da lei e vengono curati con farmaci tradizionali. Era un periodo che non stava benissimo ma neppure male, Daniele l’ha portato dalla veterinaria ed è tornato con una ricetta. Quando ho saputo che gli aveva dato un prodotto omeopatico ho pensato: bene, non è niente di preoccupante, e la ricetta non l’ho neppure letta. Poi dopo tre giorni stava meglio. Ma guarda te, gli ho detto (a Daniele l’ho detto, non a Cato), ‘sta volta l’egua santa ha funzionato. Lui mi sorrideva e taceva. Allora ho detto quello che voleva sentire, ché dopo anni che si vive insieme lo sapevo benissimo che cosa si aspettava. E lui sorrideva, e taceva. Poi continuava a tacere. Poi, dopo ancora, è andato in cucina, è tornato, mi ha messo in mano il flaconcino e mi ha detto: pochi granuli fanno miracoli. Ho letto. L’egua santa di questa ricetta si chiama: apocynum cannabinum.
Io, se ne avanza di quei granuli, vorrei provare a scioglierli e aggiungerli alla posta frolla. Secondo me vengon fuori dei biscotti buonissimi.

12 novembre 2010

Giornata di mobilitazione nazionale per la cultura
se hai voglia clicca e leggi, se poi vuoi firmare è ancora meglio

martedì 9 novembre 2010

vermi fucsia

Ho fatto una sciarpa fucsia con una specie di fettuccia che però non è una vera fettuccia, o meglio è una fettuccia fatta strana. Il filato, si dirà filato anche per le fettucce?, il filato dicevo è fatto con due centimetri realmente di fettuccia, lucida, e due centimetri divisi in due fili paralleli, opachi, più grossi. I punti si fanno mettendo i ferri tra i due nastri paralleli. Tutto dritto, ferri 9. Vai su di un veloce che ti meravigli di quanto si possa andare veloci con i ferri così grossi. L’effetto mi piace molto. Sembra una sciarpa fatta di vermi. Vermi fucsia però.

lunedì 8 novembre 2010

fine corsa





Una fermata prima del capolinea del 45 (fine corsa per me), sempre ‘sta mattina. E c’era una mareggiata bellissima, e scendendo dall’autobus mi venivano in faccia le goccioline di mare, e il profumo del mare. Era da scendere in spiaggia e stare lì fino a che non se ne poteva più del vento, altro che chiudersi in laboratorio.

inizio corsa




Al capolinea del 45 (inizio corsa per me), ‘sta mattina. E non arrivava, e ne saran saltati 2, e il popolo del 45 ha iniziato a mugugnare, e anche a me stava partendo il mugugno e poi mi son voltata e mi son messa a fotografare Brignole ché c’era un cielo bello e vento, così tanto vento che si alzava anche la terra secca dell’aiuola lì vicino, anche la polvere volava.

sabato 6 novembre 2010

dop(p)ie

Oggi ho fatto le parole crociate senza schema e per due volte mi sono ritrovata a cancellare, spostare, riprovare a incastrare le definizioni orizzontali con quelle verticali ma c’era sempre qualcosa che non tornava. Era la mia ignoranza mescolata al poco amore per le doppie che non faceva tornar le cose. Foxterrier passi pure, me lo concedo, mi piacciono i gatti, so quasi nulla di cani ma emorragia con una r sola? È che lo dico con una sola r e quindi poi lo scrivo così, con una r sola: emoragia. C’è poco da girarci intorno. E ci ho messo un po’ a capire dove stavo sbagliando, mi servivano due erre per incastrarci nell’altra direzione burro di cacao e permalosi e provavo a spostare quelle due parole e pensavo non è permalosi, devo cambiare permalosi ma la s di permalosi si incastrava bene con sorpassi (lì la doppia l'avevo messa giusta) e la e, sempre di permalosi, si incastrava con nostre. Dei buoni minuti ci ho messo a trovare l’errore.
E adesso, proprio adesso mentre scrivo il post, mi è venuto in mente che mia nipote ha appena scoperto lo Scarabeo e che ora vuole giocare sempre con quello e che se, come spero, il prossimo fine settimana la vedrò allora sarà il caso che io in questa settimana mi ripassi l’uso delle doppie.

giovedì 4 novembre 2010

sicurezza

Oggi ho fatto un corso obbligatorio di primo soccorso. All’inizio della mattina c’erano tre ore scarse di teoria, tutto il resto era pratica. Adesso ho dei segni sul polso destro. Io all’inizio mi vergognavo come una ladra. Io fondamentalmente sono timida, poi se conosco le persone con le quali sono è un’altra cosa, cioè si nota meno, ma mettermi lì a fare le esercitazioni con un manichino, che poi non era uno erano due, uno di un lattante e uno di un bambino, io mi vergognavo. Non è mica facile fare queste esercitazioni. Anche solo l’inizio, all’inizio devi guardare se l’ambiente è rischioso (c’era la docente che ti diceva dov’eri: per la strada, al bar dell’ospedale, in un supermercato…) e poi devi andare lì vicino al bambino chinarti e capire come stava e ti dicevano come dovevi toccarlo e che cosa gli dovevi dire. Ti dicevano di chiamarlo, di dirgli: bambino bambino (il manichino del bambino era maschio, il lattante non si capiva, però il lattante potevi anche non chiamarlo). Io all’inizio mi sentivo molto a disagio e stavo come fuori da quello che dovevo fare, mi veniva da chiedere: ma non c’è una mamma o un papà vicino a questo bambino da chiedergli come si chiama? Che a me chiamarlo bambino bambino mi sento ridicola. Io ci ho messo un bel po’ a capire. Faccio parte di una generazione che con la sicurezza non è a suo agio. Io lo capisco che sono cose che servono, ci mancherebbe, non sono così stupida ma faccio fatica mentalmente, tanta fatica. Ho fatto fatica anche con l’obbligo del casco. Ora non faccio due metri senza. Ho fatto fatica quando mi hanno nominato responsabile della sicurezza in laboratorio. Il primo pensiero che ho avuto è stato: che palle, perché io? Ho fatto fatica a organizzare tutte le schede di sicurezza della varie sostanze che usiamo, a capire che cosa bisognava fare se ci si faceva male. Adesso a distanza di anni sono contenta di sapere quello che bisogna fare e quello che non bisogna fare, ché è molto importante anche quello, quello che non bisogna fare. Ora che ci penso anche del mio corsetto da finto pompiere sono contenta, ci hanno insegnato a usare un estintore, abbiamo provato a usare un idrante. Ma all’inizio faccio fatica, tanta. E anche oggi ho fatto fatica e mi dispiaceva provare a fare la respirazione bocca bocca e vedere che il torace del mio manichino se ne stava fermo e mi sentivo stupida e una parte della mia testa mi diceva: ma che ci fai tu qua? E c’era questa infermiera che era molto brava e paziente con noi, che ci diceva: non si nasce imparati e ci diceva come mettere la bocca, come tenere la testa. Però poi dai e dai le cose sono andate meglio. E abbiamo anche provato a fare quella manovra lì che si fa se hai qualcosa di traverso e non respiri e poi abbiamo provato anche tra noi e con un adulto sembra più facile, che almeno non ti sembra di spaccarlo, ma ci vuole forza, anche a dare le pacche sulla schiena ci vuole forza se no non serve a nulla. E il pomeriggio abbiamo anche fatto delle prove con un finto defibrillatore, finto così se uno toccava il manichino mentre c’era la scarica non ci facevamo male. E alla fine abbiamo fatto una spece d’esame. Delle domande con le crocette e una simulazione a due, e una delle due faceva il leader e poi si rifaceva cambiando i ruoli. E a fare il massaggio cardiaco se hai un orologio con il cinturino largo e provi per metà pomeriggio perché non hai idea di dove vanno le mani, di quanto premere, di che ritmo tenere, se hai un orologio così allora è meglio toglierselo e metterselo in tasca perché se no alla sera sul polso destro hai i segni. E adesso sono stanchissima, di testa, spero di non dover mai mettere in pratica nulla di quello che ho visto e fatto ma sono contenta di averlo visto fare e di aver provato a farlo e conoscendomi sono anche contenta che quel corso fosse obbligatorio per tutto il personale dell’ospedale.

martedì 2 novembre 2010

oggi




alcuni fiori sono passati dal terrazzo a casa

lunedì 1 novembre 2010

capito niente

Non ho capito niente. Sabato sono andata a teatro a vedere Immanuel Kant e non ho capito niente di quello che ho visto. Una sensazione bruttissima, però bisogna imparare fare i conti con i propri limiti e il mio limite è stato bello grande e ben sentito sabato. E sì che ero partita con un entusiasmo enorme. Thomas Bernhard è un autore che mi piace molto. Con i suoi romanzi non mi è mai capitato di avere problemi, la produzione teatrale non la conosco, avevo visto solo Ritter, Dene, Voss, due anni fa, e mi era piaciuto e invece sabato l’ho perso quasi subito, poi ogni tanto mi sembrava di ritrovarlo ma era un’impressione sbagliata e lo riperdevo. Si dice mal comune mezzo gaudio. ‘Sta cippa, a me vedere che c’erano persone che tra il primo e il secondo atto se ne sono andate non ha fatto nessun piacere. Io sono rimasta ma capire? non ho capito nulla. E pensare che quando sono arrivata ero anche contenta che era uno di quegli spettacoli che iniziano a scena aperta con gli attori che girano per la platea e interagiscono con chi arriva che è una cosa che mi piace molto e mi mette nel miglior stato d’animo possibile e poi, poi non ho capito nulla. Devo farmene una ragione.
Oggi ripensavo a come mi è arrivato in mano il suo primo romanzo. Ero a casa dei miei e volutamente mi ero portata solo un libro già a buon punto. Così leggo gli articoli in treno, mi ero detta, poi invece non ne avevo voglia e ho finito il libro e mi sono ritrovata alla sera che non avevo niente da leggere e il pensiero di più di tre ore di treno il giorno dopo senza libro. Quella sera ho chiesto a mia mamma se mi sceglieva qualcosa lei. È tornata con Il nipote di Wittgenstein. È stato amore a prima vista. Poi quando ci siamo riviste e era arrivato il momento di renderglielo, dal momento che lei aveva solo quello, io e lei abbiamo fatto un patto: quel libro rimaneva nella mia libreria a Genova e io le prestavo quelli che prendevo, e così altri quattordici suoi romanzi sono andati in vacanza da lei. E ci siamo scambiate impressioni e sottolineature, le mie arancione o rosse le sue azzurre.
Mi sarebbe piaciuto andare con lei sabato ma vivere in due città diverse a volte costringe a cambiare un po’ i programmi.